Montagna e scenari di sviluppo sostenibile. Quali semi generatori piantare? E quali frutti di futuro raccogliere nelle “terre alte”?
Nasce all’insegna di questi temi l’idea di organizzare, in occasione del Festival dello Sviluppo Sostenibile, un evento innovativo per i contenuti e per il disegno del progetto di ricerca da cui scaturisce. “La Montagna non viene citata in nessuno dei circa 160 indicatori dell’Agenda 2030, contenente i 17 obiettivi che cercano di definire un nuovo paradigma di sviluppo sostenibile in grado di conciliare dimensione economica con la dimensione ambientale e sociale”. Come colmare questa lacuna?
Da queste riflessioni muove la scelta di due economiste studiose di sostenibilità, la Prof.ssa Veronica Polin del Dipartimento di Scienze Economiche dell’Università di Verona e la Prof.ssa Laura Cavalli della Fondazione Eni Enrico Mattei, di avviare un progetto di ricerca, e di non adottare l’“approccio tradizionale degli studiosi”.
“Abbiamo voluto esplorare un percorso in parte diverso ed iniziare la ricerca ascoltando voci e saperi locali di molteplici discipline”. Come? “Dando vita all’evento «Quale visione di sostenibilità per i territori montani?», che si snocciola in tre giorni, ed è mirato ad instaurare e valorizzare un dialogo tra sapere esperto e sapere locale delle aree montane”.
Il primo appuntamento si è tenuto il 6 ottobre, l’evento è poi proseguito ieri e si conclude oggi, con 29 Voci del Territorio che porteranno la loro esperienza concreta in un continuum di interazioni e scambi. “Durante l’evento vengono presentati progetti e attività per lo sviluppo e la valorizzazione delle aree montane delle regioni Lombardia, Veneto, Marche, Basilicata e Sicilia”.
Durabilità, montanità, identificazione, riposizionamento, limite, paesaggio, geostoria, rappresentazioni, trasformazioni socioeconomiche, solitudine che si tramuta in incontro e accoglienza, passando per cambiamenti “gioiosi” se accompagnati da contaminazioni di stili: queste alcune delle parole chiavi associate alla montagna. “Al di là della crisi ambientale, è necessario ripensare la montagna in chiave di riqualificazione del paesaggio. La marginalizzazione della montagna, non geografica e fisica, esiste in Italia, per ragioni culturali. L’Italia ha una superficie che al 60% si può qualificare con montagna. Alla montuosità, parametro fisico e geografico, non corrisponde, però la Montanità, che ha a che vedere con un senso di appartenenze e di riconoscibilità”, afferma Annibale Salsa, antropologo.
“La montagna non è solo nevi e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di vivere la vita. Un passo davanti all’altro, silenzio tempo e misura” ricorda lo scrittore Paolo Cognetti, uno degli ospiti della prima serata dell’evento, in uno dei suoi libri.
Queste giornate hanno interpretato anche un bisogno sentito dalle organizzatrici: smontare lo stereotipo dell’economista, e la fuorviante concezione che l’economia sia una scienza fredda e asettica. “Non dimentichiamo che l’Economia è buona gestione e cura delle risorse. Tutto dipende da cosa definiamo “buono”. Noi abbiamo scelto di provare a definirlo rifiutando una ricetta preconfezionata calata dall’alto, ma coinvolgendo le voci del territorio”. Tra gli ospiti dell’ultima serata vi è Franco Arminio, paesologo e poeta capace di parole splendide sulla natura. “Sono nato e vivo in un piccolo paese e di conseguenza sono legato ad esso da un rapporto di fedeltà. Fare il paesologo significa proprio questo: avere un legame con il paese che si tramuta nell’avere una forma di attenzione a luoghi che spesso non ricevono attenzioni”. E ancora, in una delle sue poesie: “Le nostre poltrone sono le montagne, i paesi sperduti e affranti, le rose che tra poco fioriranno”. Che dire, queste parole sembrano proprio i giusti semi di futuro.
St. T.