Già nel Medioevo, si festeggiava il carnevale, all’epoca conosciuta come festum stultorum letteralmente “festa dei pazzi”.
Si trattava di un periodo dell’anno in cui era “giustificato” staccare la spina dai propri doveri per lasciarsi andare ai travestimenti. Questa ricorrenza veniva celebrata negli ambienti più eterogenei e persino più austeri, quasi a comunicare che qualsiasi forma di potere, terreno o divino, potesse sfogare una trasgressione sana, dando così luce a una parte di sé spesso frenata dalle imposizioni del vivere. Uno degli aspetti più allegorici del Carnevale è da sempre l’utilizzo delle maschere, che nel tempo si sono scoperte avere più funzioni, anche terapeutiche, ed essere strumenti non solo “da venerdì gnocolar” ma anche per la vita di tutti i giorni.
Attraverso la maschera di carnevale, che è visibile e dichiarata, si possono impersonare ideali, indossando i panni di un super eroe o di un personaggio amato. Si può quindi rappresentare la proiezione di un desiderio, esternalizzandolo attraverso un costume. Ci sono poi altre tipologie di maschere, non evidenti e non dichiarate, che si portano spesso. Si tratta di maschere “lavorative”, “amicali”, di “cortesia”…etc.
Utili a celare parti della propria identità e a farci apparire “coerenti” al contesto nel quale siamo inseriti. Una maschera che funge da meccanismo di difesa e che tenta di proteggere dal pericolo il nostro vero Io.
A livello psicologico, questo tipo di maschere rappresentano un filtro che la persona intrapone tra sé e gli altri. Le maschere relazionali, se analizzate da un punto di vista funzionale, sono necessarie per la “sopravvivenza” in quanto permettono l’adattamento. Le maschere sociali, secondo la psicologia junghiana, sono ruoli che interpretiamo, status nei quali ci identifichiamo, abiti di circostanza che indossiamo a seconda del contesto, delle persone e delle situazioni che ci stanno intorno. Ogni maschera ci aiuta a dare una determinata immagine di noi.
Queste stesse maschere però, possono comportare dei problemi se nella persona che le porta si struttura, una mancanza di consapevolezza del loro utilizzo. Il rischio allora è di divenire tutt’uno con la propria immagine mistificata, confondendo il proprio Sé reale con quello ideale, costruendosi un falso sé. Questa dinamica psicologica, purtroppo, tende a ridurre le nostre potenzialità e le nostre forme di espressione e a renderci sempre più artefatti.
Nei casi più gravi, potrebbero comportare disturbi d’ansia, causati da improvvise prese di consapevolezza dell’incoerenza tra ciò che realmente si è e ciò che si appare al di fuori. Adottare in maniera flessibile e mai rigida le maschere, per poter uscire e rientrare liberamente nei diversi ruoli sociali esprime coerenza del sé a garanzia di un senso di identità stabile che può sfruttare attitudini e capacità personali in accordo con le proprie ambizioni di vita. Diceva Oscar Wilde: “Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e vi dirà la verità ”.
Sara Rosa, psicologa e psicoterapeuta