Come già accennato in precedenza, l’adeguamento liturgico esortato anche da documenti della Conferenza Episcopale Italiana, è l’insieme degli interventi architettonici e artistici volti ad adattare lo spazio sacro alle esigenze della liturgia contemporanea, in particolare dopo il Concilio Vaticano II, che ha promosso una partecipazione più attiva dei fedeli. A Verona, diverse chiese antiche negli anni hanno subito tali interventi per rispondere a queste nuove esigenze, anche se, guardando a livello nazionale, non possiamo dire che gli interventi veronesi siano così importanti. Una delle chiese più notevoli in questo contesto è la Basilica di Santa Anastasia. Consacrata nel 1471, ha visto nel tempo numerosi interventi, tra cui, negli anni ’70 del XX secolo, un restauro che ha incluso l’adeguamento liturgico, con la predisposizione di un nuovo altare rivolto verso l’assemblea, in linea con le indicazioni del Concilio Vaticano II. È chiaro che gli edifici ecclesiastici che meglio incarnano lo spirito della riforma liturgica utilizzando magari per i “luoghi liturgici” (altare, ambone, sede, battistero) vere e proprie opere d’arte, sono non tanto gli edifici antichi, quanto le nuove chiese, per le quali la Conferenza Episcopale Italiana ha scritto anche in questo caso un documento. Adeguamenti di edifici antichi significativi a Verona, con l’utilizzo magari di opere d’arte contemporanea non ne abbiamo, per questo, per usare un esempio chiarificatore parlerò dell’intervento di adeguamento del Duomo di Padova, attraverso l’ inserimento di opere dello scultore Vangi. L’inaridirsi della vena di arte liturgica, dall’Ottocento in poi, ha fatto temere che non si sarebbero più avute opere del calibro dei mosaici di Ravenna o delle architetture di un Bernini. L´arte sacra si era per così dire inaridita di pari passo con uno smarrimento dei suoi linguaggi da parte della Chiesa. La Chiesa non ha più saputo far da committente, non ha saputo più stimolare negli artisti una creatività all’altezza dei misteri celebrati. Ma come il Concilio di Trento ebbe bisogno di due generazioni per dar forma a un linguaggio espressivo dei suoi ideali, il barocco trionfante di Rubens e Bernini, così anche il Concilio Vaticano II può produrre frutti nel campo dell´arte. Un esempio è il Cristo di Giuliano Vangi nella cattedrale di Padova, che come ebbe a dire Mons. Timoty Verdon, “…d’ argento e di nickel, d´oro e di bronzo, balena ai fedeli come il lampo che brilla da un capo all´altro del cielo, perché «così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno» (Luca 17, 24). È un Cristo avveniristico, quasi tecnologico. La sua croce tirata come cristallo si alza per sei metri e passa dal blu scuro della base – la notte dell´uomo perduto – allo zaffiro e al bianco limpido della sommità, incandescente della luce in cui abita il Padre. Gesù non pare neppure inchiodato alla croce. Piuttosto vi si appoggia, con le braccia spalancate non nel supplizio ma nell’abbraccio redentivo per tutta l´umanità: «Quando sarò innalzato attirerò tutti a me» (Giovanni 12, 32). I suoi occhi ti guardano con la profondità intima di un rapporto personale. È il Vivente sopra un altare che sembra la pietra sepolcrale rotolata via dagli angeli. Su questo altare i fedeli vedono celebrare la messa. Ma l´artista strappa il velo dai loro occhi è fa apparire il senso ultimo della festa cristiana, il giorno del Signore, dalla croce alla risurrezione alla venuta finale. Questo e altri esempi dimostrano come anche le chiese antiche di Verona debbano saper adattarsi alle esigenze liturgiche moderne, mantenendo al contempo il loro valore storico e artistico.