La liberazione di Dozier Il generale americano era stato rapito nel dicembre del 1981. Sequestrato per 42 giorni

Con l’irruzione dei Nocs nell’appartamento di via Pin­demonte nel quartiere della Giuzza a Padova, dove i terroristi rossi tenevano prigioniero il generale James Lee Dozier si concludeva, 38 anni fa, uno dei più clamorosi sequestri politici della storia contemporanea italiana. Un successo che porta ancora il nome di Guido Papalia, il magistrato che in quegli anni, da poco arrivato a Verona, coordinava le indagini.

LA STORIA
Dopo tanti anni è tutto chiaro e la vicenda l’ha raccontata lo stesso procuratore oggi in pensione. “Siamo arrivati al covo dei brigatisti a Padova, dopo che avevamo trovato un garage intestato a due veronesi. Non c’erano i computer che abbiamo oggi, ma con un lavoro certosino svolto dalla questura, secondo quanto era previsto dalla “Legge Cossiga”, proprio sulle denunce degli affitti, è partita una perquisizione. Il garage è stato individuato grazie a Paolo Galati (fratello di Michele Galati, l’arruolatore delle Br in Veneto), che è stato interrogato nella notte tra il 26 e il 27. Sono stato chiamato da Di Stasio, che allora era alla Digos e io personalmente, come ho sempre fatto nei 40 giorni del rapimento, ho seguito la perquisizione. In questura, poi, senza entrare nell’ufficio, ho avuto modo di verificare come era avvenuto l’interrogatorio. E’ stato Paolo Galati a indicare alcuni veronesi che facevano parte della colonna veronese delle Br. Tra loro c’erano gli intestari del garage. Immediatamente io ho dato disposizione seguendo quanto prevedeva allora il codice di procedura penale, che consentiva appunto di delegare la polizia per gli interrogatori. Allora, tutte le informazioni servivano solo per proseguire le indagini e non avevano valore di prova. Ho rischiato di perdere questi elementi di prova -confessa il dottor Papalia- perchè l’importante era trovare il covo. E’ partita la perquisizione secondo le indicazioni di Galati ed è stato trovato uno… voi sapete chi è (Rugero Volinia), che era con una donna. Fermato, ha cominciato a collaborare. Era lui l’autista del sequestro ed è stato lui a indicarci il covo. Così si è arrivati alla Frascella».

IL BLITZ
L’assalto? «La polizia», ricorda il procuratore, «l’ha organizzato in modo esemplare, chiamando i Nocs che sono entrati in pochi secondi anche perchè la porta non era blindata». E’ vero il particolare che Dozier stava per essere ucciso? «Me lo raccontò Ciucci che teneva Dozier sotto la minaccia della pistola, ma fu traumatizzato dal comportamento del poliziotto, che, armato di mitra avrebbe potuto sparargli. Invece non lo fece. Di fronte a questo atteggiamento non bellicoso del poliziotto, lo stesso Ciucci decise di collaborare. Prima con la polizia e poi con me. Era stato Savasta a dire che avevano notato dei movimenti e, che temendo che l’assalto finisse come in Via Fracchia a Genova dov’erano stati uccisi tutti i brigatisti, si erano riuniti nella camera da letto, pronti a far esplodere tutto, se la polizia avesse sparato. E’ tutto qua. Non c’è altro».

IL RITORNO
Da allora il generale statunitense che era stato rapito nel dicembre del 1981 e liberato dopo 42 giorni è tornato diverse volte a Verona ed è stato anche a Padova davanti all’edificio dove era stato sequestrato. Nel 2018 si era anche incontrato con il sindaco Federico Sboarina: un incontro che era servito a ringraziare l’intera città.