Raffaele Tomelleri
Ti racconta la “spaccata” come fosse “bere un caffè”. “Beh, sai, mi avevano provocato e a me le sfide sono sempre piaciute…”. Le sfide, la velocità, quel pizzico di (sana) follia, che non lo deve abbandonare mai. “Io sono questo, se cambio non sono più Ghedina…”, ridacchia.
Ti racconta la “spaccata”, ti fa venir voglia di “cliccare” e andarla a vedere. Spettacolare, come tutta la sua strepitosa carriera. “Peccato non aver vinto le Olimpiadi, ma non puoi avere tutto dalla vita, no?” strizza l’occhio.
“Ho vinto dappertutto, fino all’arrivo di Paris sono stato il discesista più vittorioso. E poi, mi sono sempre divertito”.
Perchè, ti spiega, “…anche quando allenarsi voleva dire alzarsi al mattino alle 5, vuoi mettere? Alzarsi per andare a lavorare è un’altra cosa”, giusto per spiegare “…che lo sport è un’altra cosa”. Dice che l’amore per lo sci glielo insegnò la mamma. “La prima maestra di sci donna. Ho preso da lei, purtroppo l’ho persa troppo presto. Mamma se n’è andata per un incidente sugli sci, ero un ragazzo…”
Chissà come l’avrebbe fatta felice, Christian.
La medaglia più bella, invece, gliela consegnò papà. “Pensa, avevo già smesso di gareggiare” racconta Ghedina. “Papà non è mai stato uno di tante parole e non è mai stato entusiasta della strada che avevo preso. Un giorno, eravamo a tavola, lui mi guarda e mi fa: “Bravo, Christian”. Io non capisco. E Lui: “Bravo, per quello che hai fatto e perchè l’hai fatto con serietà. Sono orgoglioso di te”. Capite, mio papà che mi dice questo? Era la prima volta che mi parlava di sci e avevo già finito. Ma quella resta la medaglia più bella, come avessi vinto le Olimpiadi”.
Oggi è testimonial dei Mondiali di Cortina, porta in giro l’immagine felice di campione vero, quelli che piacciono alla gente perchè vivono per la gente. Ha corso in macchina (“ho rischiato la vita”), non schiaccia mai il freno, ma solo l’acceleratore. E quello della simptia è giù a tavoletta.