“La figlia oscura”, ventata di aria fresca Un’intricata vicenda dì maternità e ambizione, “guidata” benissimo da una regista deb

Leda è una donna di mezza età in vacanza sulle spiagge della Grecia. Da traduttrice e comparatista si diletta ad osservare passanti e turisti, finché una chiassosa famiglia americana non cattura la sua attenzione: una giovane madre, una figlia piccola e la loro ambigua complicità portano Leda in un mondo di ricordi legati allo smarrimento della propria maternità. Catapultata nel minaccioso universo della sua stessa mente, la donna è costretta a fare i conti con le scelte anticonformiste fatte come giovane madre e con le loro conseguenze.
Direttamente dalla 78ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia e dalla penna esperta di Elena Ferrante, La figlia oscura approda nelle sale italiane, portando una ventata di aria fresca nel mondo di storie al femminile di cui il cinema di oggi è costellato. A raccontare questa intricata vicenda di maternità e ambizione troviamo, ancora una volta, una donna: l’esordiente alla regia – ma già navigata attrice della migliore Hollywood, – che risponde al nome di Maggie Gyllenhaal (FOTO)
Traduttrice, produttrice, sceneggiatrice e regista, a La figlia oscura la Gyllenhaal ha dedicato tre anni della sua vita, durante i quali il romanzo dell’italiana ha avuto modo di sedimentarsi, maturare e crescere tanto visivamente quanto narrativamente nell’immaginario della neo-regista. E se spesso i tempi lunghi non giovano ai film, la capacità di padroneggiare la materia viva della storia dimostrata dalla Gyllenhaal è talmente grande, e tale risulta la sua predisposizione al racconto per immagini da farci dire che una nuova stella del firmamento registico potrebbe essere nata.
Comprendendone fino in fondo il senso, la trasposizione della regista americana rielabora i contenuti del libro spostando l’intero racconto dal sud Italia alla bianca Grecia. Toni e atmosfere cambiano, ma tutto si adatta al nuovo contesto grazie a una riscrittura minuziosa dell’intero background dei protagonisti. Quello che la Gyllenhaal ha definito «un tradimento dell’originale letterario» si trasforma dunque in un’occasione per mettere in scena la conflittualità tra l’idillio dell’ambientazione naturale e il tormento relazionale – e psichico – che affligge i personaggi: le rive quiete del Mar Ionio cozzano infatti con l’inquietudine di una Leda – l’ottima Olivia Colman – alla ricerca di una pace interiore sempre più ingombrante nella sua assenza, quasi che il buco creato dal senso di colpa di non essere stata una madre modello fosse in grado di divorare ciò che rimane di lei. Lei, figlia delle proprie scelte, è la prima ad essersi perduta (The Lost Daughter il titolo originale), così come perdute sono la figlia e la giovane americana nella sua inadeguatezza da neo-mamma; sempre più consistente, in parallelo, diventa invece fil rouge della pellicola, che mettendo in discussione attraverso gli occhi di una donna i parametri dello stereotipo genitoriale offre una prospettiva inedita sul tema, lasciando lo spettatore (e le spettatrici) con una domanda amletica: si è davvero disposti a tradire se stessi per i propri figli?

Voto: 8.5

Maria Letizia Cilea