La discesa dei vini rossi, solo congelata dal rimbalzo post Covid ma resa verticale da un 2023 negativo, è già in atto da tempo. Complice un mix di fattori generazionali ed etnici – ma anche climatici – i palati di tutto il mondo stanno progressivamente spostando le proprie preferenze verso tipologie di alcolici diverse dal vino, e in particolare dal suo colore simbolo. È l’istantanea dell’Osservatorio di Unione italiana vini (Uiv), oggetto del focus ad Amarone Opera prima, il consueto appuntamento annuale dedicato al Re dei rossi veneti organizzato dal Consorzio vini della Valpolicella, con 70 aziende partecipanti.
Un talk, “Clima, produzione e mercati: la Valpolicella alla prova del cambiamento”, in cui il Consorzio ha voluto interrogarsi sul futuro di una denominazione giovane, protagonista di una crescita vertiginosa negli ultimi vent’anni. “Abbiamo scelto un approccio più critico che celebrativo per festeggiare la 20^ edizione dell’evento dedicato all’Amarone – ha detto il presidente, Christian Marchesini -. Come Consorzio crediamo però che il modo migliore per continuare a crescere sia quello di analizzare con serietà e puntualità le sfide che i cambiamenti climatici, le nuove dinamiche di consumo e gli sviluppi sui mercati pongono alla denominazione – conclude –. Dobbiamo, vogliamo e possiamo fare un Amarone sempre più competitivo, più contemporaneo”.
Per il vicepresidente del Consorzio, Andrea Lonardi (MW): “L’Amarone è stato in passato un vino che ha soddisfatto una domanda di mercato. I produttori della Valpolicella sono stati tra i più bravi, soprattutto in alcuni mercati, a capire che c’era la necessità di un vino morbido, caldo e piacevole. Questo ha consentito un grande successo volumetrico. Per farlo si è, però, ecceduto con l’appassimento e con la necessità di rincorrere uno stile che questo segmento del mercato richiedeva. Oggi quel segmento non cresce più e regala molte più ombre che sicurezze per il futuro. Dobbiamo quindi cambiare ed evolverci reindirizzando i nostri vini verso un cambiamento sia in termini di geografie di mercato, che di profilazione del consumatore. Per farlo occorre, anche ma non solo, un cambio stilistico. I vini commercialmente solidi sono infatti i fine wines, quelli che hanno un profondo legame con il territorio di origine, vini che hanno valori e un wording comunicativo specifico tali da renderli identitari. Occorre pensare a un Amarone che rimetta in equilibrio i suoi fattori produttivi: il metodo (la messa a riposo), il territorio (suolo, vitigni, clima), le persone (produttori, imprese) e la comunicazione. La sfida è chiaramente complessa, dal volume al valore, e richiede dei cambi: culturali, produttivi, legislativi e comunicativi”.
Secondo le elaborazioni dell’Osservatorio Uiv, nel 2023 l’Amarone ha subìto una battuta d’arresto nei volumi esportati (-12%), a circa 75 mila ettolitri, dato comunque in linea (+1%) con il 2019 e sensibilmente in crescita negli ultimi 10 anni (+17%). Il calo tendenziale dell’export nell’ultimo anno è dovuto da una parte a riduzioni reali dei consumi (in particolare Scandinavia e Canada, in parte Germania, che ha comunque registrato un forte aumento delle vendite nel canale retail), mentre negli Stati Uniti, al trend generale dei vini rossi, si è affiancato l’effetto congiunturale del destocking di prodotto accumulato alla fase distributiva, che ha coinvolto tutto il vino italiano e non solo, rallentando in maniera significativa le richieste di vino dall’estero. Stabili, infine, le vendite sul canale retail italiano.
Un quadro che mostra cali importanti per i principali vitigni dei 5 Continenti e i principali competitor, con l’export dei rossi francesi nell’ultimo biennio che si è contratto del 15% e quello spagnolo di oltre il 20%.