L’azione riformatrice di Dubček, sostenuta da un vasto e convinto consenso popolare, allarmò ben presto Mosca e le alte gerarchie dei paesi comunisti euro orientali. Pur sforzandosi di rassicurare l’Unione Sovietica il processo di rinnovamento avanzava inesorabile: il 24 Luglio il Parlamento abolì la censura e approvò la legge sulla riabilitazione dei condannati politici, mentre i responsabili delle passate epurazioni venivano apertamente denunciati dai giornali e alla radio.
A inizio Agosto fu elaborato un progetto di revisione dello statuto del PCC, che prevedeva in particolare il riconoscimento del diritto all’esistenza di minoranze contestatarie nel partito, la generalizzazione del voto segreto e la limitazione della durata in carica nelle funzioni dirigenti. L’Urss continuava ufficialmente a ripetere che non sarebbe mai intervenuta negli affari interni dello stato cecoslovacco, in realtà si stava muovendo in direzione opposta, poiché temeva che l’esempio della Cecoslovacchia, aggiunto a quello della Romania, “contaminasse” rapidamente le altre democrazie popolari.
Alle ore 23 del 20 Agosto 6.000 carri armati del Patto di Varsavia e 500.000 soldati sovietici, tedeschi orientali, polacchi, ungheresi e bulgari varcarono il confine cecoslovacco. Dubček, raggiunto dalla notizia dell’occupazione, con voce incrinata dal dolore esclamò: “Per tutta la mia vita mi sono adoperato ad approfondire e a consolidare l’amicizia tra l’Unione Sovietica e la Cecoslovacchia e adesso mi ricambiano in questo modo. È la tragedia della mia vita.”
Egli diede immediatamente l’ordine all’esercito di non opporre resistenza, Radio Praga invitò i cittadini a non reagire e fu distribuita una edizione straordinaria della rivista Literarni Listy, sotto gli occhi dei primi reparti sovietici, in cui l’editoriale invitava la popolazione alla resistenza non violenta e a difendere gli organi di governo e di partito. L’URSS, con un comunicato dell’Agenzia Tass, così giustificò l’intervento: “Personalità del partito e del governo della Repubblica Socialista cecoslovacca si sono rivolte all’Unione Sovietica con una richiesta di urgente aiuto per il fratello popolo cecoslovacco, ivi incluso un aiuto militare. Questo appello traeva origine dal fatto che le legittime istituzioni socialiste si trovavano sotto minaccia di forze controrivoluzionarie, le quali stavano cospirando con forze esterne ostili socialismo”.
Sempre il 21 Agosto si riunì il Consiglio del Patto Atlantico per esaminare la crisi provocata dall’invasione e Jiri Hajek, ministro degli esteri cecoslovacco, chiese l’appoggio dell’Onu per difendere il suo paese dall’aggressione. Il presidente degli Stati Uniti Lyndon B. Johnson deplorò l’intervento e invitò formalmente l’URSS a ritirare le truppe, anche se, in linea con la logica della guerra fredda, considerava l’accaduto un fatto “interno” al blocco comunista. Di fronte alla resistenza passiva del popolo cecoslovacco, l’Unione Sovietica si vide costretta a rinunciare al piano iniziale di sostituire Dubček con un primo segretario ritenuto più fedele. Accettò quindi di trattare con la dirigenza cecoslovacca e il 23 Agosto Svoboda e Dubček assieme ad altri dirigenti furono aviotrasportati con la forza a Mosca. Lo stesso giorno il Quotidiano del Popolo, organo del partito comunista cinese, condannò esplicitamente l’intervento delle truppe del Patto di Varsavia, definendolo un “crimine” contro il popolo cecoslovacco perpetrato dai “revisionisti sovietici”.
Romeo Ferrari, docente di storia e filosofia