Ci voleva. C’era una voragine da colmare e Marash Kumbulla lo ha fatto, come succede ai predestinati. Da quanto tempo il vivaio dell’Hellas non sfornava un campione così? Era dai tempi di Damiano Tommasi, l’anima candida che conquistò Roma, l’Olimpico, uno scudetto e la Nazionale. Erano i gloriosi anni ‘90. Il ragazzino che arrivava da Sant’Anna d’Alfaedo giocò un paio d’anni con i grandi prima di spiccare il volo. L’Olimpico sbuffò per un po’, prima di “adottarlo” e di farne un simbolo, leader silenzioso di una Roma tornata capoccia.
Kumbulla, conosci Beniamino Vignola? Da Tommasi un salto all’indietro, stavolta anni ‘80. Un sinistro che incantava, classe sopraffina, fino a conquistarsi un’etichetta, il Rivera dell’Adige, che da sola valeva una promozione. Vignola s’irrobustì ad Avellino, prima di arrivare alla Juve di Platini, Rossi e Boniek, la Juve del Trap, non per fare da comprimario, ma per diventare spesso decisivo. La sua maglia, la numero 7 (il 10 era ovviamente di Michel Le Roi), è nel Museo della Juve, dopo la prodezza con la quale Vignola firmò la Coppa delle Coppe di Basilea.
Ancora vent’anni all’indietro, per arrivare a Lino Golin, da Soave. Esterno ‘attacco, anzi, ala sinistra, come si diceva una volta. Lo prese il Milan di Rocco e Rivera, al Verona in cambio arrivarono Maddè e 150 milioni. Golin giocò anche in Coppa Campioni, fece la sua parte anche se aveva vicino autentici mostri. Ora tocca a Kumbulla. Troverà i mostri di Conte, probabilmente. Ma non tremerà. Anzi…