«Qui giace uno il cui nome fu scritto nell’acqua»: è l’enigmatico epitafio che volle sulla sua tomba il poeta John Keats, considerato oggi uno dei massimi esponenti del Romanticismo inglese nonostante la brevissima esistenza conclusa drammaticamente a soli venticinque anni per l’inasprirsi della tubercolosi. Così la sua lapide, nel cimitero acattolico di Roma, riporta unicamente una breve iscrizione ad opera degli amici John Severn e Charles Armitage Brown, che lo identifica come “giovane poeta inglese”, e di seguito la semplice frase, con l’indicazione della data 24 febbraio 1821. Il monumento funebre, di compostissima eleganza, nella volontà del poeta annulla l’elemento identitario del nome, simboleggiando l’oblio e la transitorietà delle esperienze umane. La giovinezza di Keats, e insieme i suoi ultimi anni, furono travagliati non solo dai problemi di salute, dai lutti, dall’amore molto ostacolato per Fanny Browne, ma anche dal crudele insuccesso che le sue opere subirono, in particolare nel caso del poema Endimione, stroncato dalla critica. Se il “nome scritto nell’acqua” rimanda alla caducità della vita e della poesia, e al fluire dell’esistenza, invece la bellezza celebrata dalla sensibilità poetica di Keats come valore immortale (a thing of beauty is a joy for ever è proprio l’incipit di Endimione) non sarà destinata a essere dimenticata, così come le sue stesse opere che furono così poco apprezzate all’epoca. Il topos dello “scrivere nell’acqua” è presente già nel mondo antico, ed è legato all’espressione di parole fugaci, da parte di soggetti che non garantiscono alcuna credibilità: non sono solo le menzogne pronunciate da uomini pronti al tradimento, ma anche, nel carme 70 di Catullo, le promesse illusorie di una donna all’amante, che meritano solo di essere scritte «nel vento o nell’acqua impetuosa». L’epitafio di Keats si spoglia di ogni significato legato alla mendacità, restituendo l’espressione alla purezza di ciò che è semplicemente transitorio, e aprendo forse il senso dell’esistenza a nuove postume forme, che il poeta percepiva già negli ultimi giorni di vita, come scrisse in un’epistola. E se il nome fu “scritto nell’acqua”, l’epigrafe sulla durevole pietra richiama la forza dell’eredità umana e poetica che egli seppe lasciare a chi venne dopo. Nel 1877 Oscar Wilde visitò la tomba e condensò tutta l’emozione del momento nel sonetto The Grave of Keats, dedicato proprio all’omaggio del «poeta-pittore» dal «fierissimo cuore spezzato dal tormento». Riprendendo anche la frase dell’epitafio, l’immagine è quella di un giovane martire, che riposa non circondato da alti alberi bensì all’ombra delle violette gocciolanti rugiada: «il tuo nome fu scritto nell’acqua – ma resisterà: e lacrime come le mie manterranno la tua memoria verdeggiante» (vv. 12-13).
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