Il concetto di “terra promessa”, a seguito del processo di laicizzazione della cultura ebraica avvenuto durante la diaspora, perdette per molti ogni connotazione di carattere religioso. Da esso venne espunto il significato che quella terra potesse essere un luogo simbolico, dove l’uomo si incontra con Dio. Dio, irrappresentabile e non dicibile – il suo nome YHWH, infatti, è impronunciabile -, è un’entità afisica, che non può essere percepita con i sensi e, pertanto, non si può fisicamente incontrare in un determinato spazio. Dio non può nemmeno essere enucleato in un concetto, poiché è il “totalmente altro”: è come il vento dello spirito, che non sai da dove viene, quando giunge e dove va. Gesù stesso, l’eresiarca, con il suo messaggio universale rivolto a tutte le genti, si pose in contrasto con la scelta stanziale del popolo ebraico. Gli ebrei divennero sedentari perché erano convinti che il Messia dovesse arrivare in quel luogo, che era la “terra promessa”. In tal modo abbandonarono de facto Dio, il quale, privo di fisicità, non può materializzarsi in un luogo e la Gerusalemme celeste si trasformò nella Gerusalemme terrestre, ossia in una realtà fisico-spaziale. Ciò accadde anche in forza dell’ambiguità semantica insita nell’espressione “terra promessa”, che pure allude a un territorio geografico. Nel momento in cui la religione venne meno in una parte del popolo ebraico disperso, discriminato e ghettizzato, rimase solo l’accezione fisica dell’espressione terra promessa e divenne per molti la ragione fondante e identitaria per la costituzione dello stato di Israele. Il Sionismo, infatti, nacque come movimento laico e fu motivato esclusivamente da intenti politico-nazionali. L’appello di David Ben Gurion, nella Dichiarazione di indipendenza del 1948, chiarisce eloquentemente il significato di terra promessa: “Facciamo appello al popolo ebraico dovunque nella Diaspora affinché si raccolga intorno alla comunità ebraica di Eretz Israel e la sostenga nello sforzo dell’immigrazione e della costruzione e la assista nella grande impresa per la realizzazione dell’antica aspirazione: la redenzione di Israele.” Più illuminante risulta il testo dell’inno di Israele, che coniuga indissolubilmente terra e libertà: “Fintanto che nell’intimo del cuore freme l’anima ebraica e l’occhio guarda a Sion, là nell’oriente lontano, non è ancora perduta la nostra speranza, due volte millenaria, di essere un popolo libero nella nostra terra, la terra di Sion e Gerusalemme.”
*Romeo Ferrari, docente di storia e filosofia