“Fui abbandonato in un convento dai miei genitori naturali, quando ancora ero un neonato.
Per fortuna, dopo poco tempo, trovai una famiglia che fin dall’inizio mi trasmise tutto l’amore e l’affetto che qualcun altro aveva scelto invece di negarmi. Il destino, tuttavia, aveva in serbo ancora altro per me.
Avevo poco più di due anni e in seguito ad un incidente stradale passai attraverso il vetro di un’auto, provocandomi un enorme squarcio al volto”.
E’ la storia di Frank Ribery, campione francese, quest’anno alla Salernitana. Una storia di calcio, ma soprattutto di vita. C’è sofferenza, coraggio, riscatto. C’è la voglia di essere se stessi, sempre e comunque.
“Da quel momento – riprende Ribery – nessuno mi guardava o mi giudicava per le mie qualità tecniche, o perché ero una brava persona.
Tutti, tranne i miei genitori, commentavano il mio aspetto fisico e giudicavano dall’alto delle loro conoscenze la bruttezza del mio viso dovuta ovviamente alla ferita.
Mi sentivo giudicato. Oppresso. Nonostante fossi giovane e mi recasse molto fastidio, non versai mai una lacrima, anche se soffrii da matti.
Devi essere molto sano di mente per resistere allo scherno degli altri bambini, ma peggiori erano gli sguardi degli adulti”.
Ribery attraversa il suo personale calvario, lungo una vita. “Mi fissavano a lungo finché i miei genitori mettevano l’espressione da duri: ‘Qualche problema?’. Allora erano gli altri a vergognarsi.
Senza calcio sarebbe stata dura uscire da quel casino. Forse impossibile. Adesso però, sono quasi orgoglioso dello squarcio, senza, sarei troppo normale, non avrei avuto il carattere che ho ora.
Mi ha dato forza, mi ha insegnato a reagire e ad affrontare le situazioni più dure della mia vita e di questo ne vado fierissimo.
Non mi sottoporrò mai alla chirurgia estetica perché questa ferita fa parte di me. Mi ha forgiato e reso un uomo migliore e non intendo per nessun motivo al mondo cancellarla”.
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