A colpi di fioretto Nella storica sede di Vicolo Scala Santa 24 la sartoria sta finendo di confezionare le divise della nazionale azzurra di scherma

Intervista a Paolo Negrini
Intervista a Paolo Negrini

Divise bianche da cinque generazioni

Robe di Kappa, ancora una volta ha commissionato il lavoro alla bottega veronese

Nella storica sede di vicolo Scala Santa 24, la sartoria sta finendo di confezionare le divise della Nazionale azzurra di scherma. Anche questa volta, infatti, gli atleti che parteciperanno alle Olimpiadi di Parigi di fine mese vestiranno Negrini Fencing line, l’eccellenza italiana nella produzione artigianale di articoli da scherma, gestita da cinque generazioni dalla stessa famiglia, nella stessa sede di San Giovanni in Valle.
Robe di Kappa, azienda sponsor delle nazionali italiane di scherma olimpiche e paralimpiche, ancora una volta ha commisssionato alla bottega artigianale veronese le divise bianche degli atleti della spada, del fioretto e della sciabola. “Da cinque Olimpiadi vestiamo i campioni italiani di scherma” racconta, con legittimo orgoglio, il dottor Paolo Negrini, direttore commerciale della storica ditta veronese, gestita dal 2023 insieme al fratello Michele, direttore tecnico.

Dottor Negrini, l’avventura imprenditoriale della sua famiglia inizia con la Repubblica di Venezia…
“Fin dai tempi della Serenissima, la piazzaforte di Verona rappresentava un importante centro di produzione e di rifornimento di armi per le milizie. In questo contesto si inserisce la premiata fabbrica d’armi bianche L. Negrini & figlio, fondata nel 1897 da Angelo Negrini. L’attività proseguì con suo figlio Girolamo, che portò la società a diventare fornitore ufficiale del Regio Esercito e della Regia Marina”.

Perchè allora una L. all’origine del marchio?
“Perchè mio bisnonno Angelo, non so per quale motivo, intestò la ditta a sua moglie Luigia”.

Poi, dopo il nonno Girolamo, la società viene gestita da suo padre Angelo Negrini.
“Che continua l’opera dei suoi predecessori. Con la gestione di mio padre, nel secondo dopoguerra l’azienda si afferma in Italia e sui mercati esteri attraverso la produzione sia di armi bianche, che da scherma. Purtroppo mio padre nel 1982 muore, a soli 49 anni”.

Ma sua madre assume con decisione le redini della ditta…
“Io e mio fratello eravamo ancora troppo giovani. Mia madre, Anna Maria Auletta, proseguì l’attività lavorando in azienda fin quasi al 2017, anno della sua scomparsa. Per affiancarla, anche io e mio fratello entrammo a lavorare in azienda. All’epoca avevo 23 anni ed ero a metà degli studi universitari in Economia: sono riuscito a laurearmi, lavorando, dopo i trent’anni. Adesso la società è gestita da me e da mio fratello Michele e da otto anni è entrato anche mio figlio Luca, che ci affianca come dipendente”.

In Italia ci sono solo tre aziende che creano divise, maschere e tutto quanto ogni schermitore porta in pedana, ma la più antica è la vostra…
“Non solo siamo la più antica in Italia, ma anche quella che produce di più internamente rispetto agli altri. In Europa invece la più vecchia è in Francia”.

Esportate in molte parti del mondo?
“Nel tempo ci siamo fatti conoscere nel mondo, sponsorizzando molti atleti. Oggi i nostri prodotti vanno negli Stati Uniti, Canada, Cina, Nuova Zelanda, Paesi Arabi, Hong Kong, Corea del Sud. In Europa, dove si concentrano le aziende storiche della scherma, vendiamo prevalentemente online. In Italia siamo presenti con il nostro stand a tutte le gare nazionali, sia per fare assistenza tecnica che per vendere i nostri prodotti”.

Quanti dipendenti avete?
“In questo momento nove, più qualche collaborazione esterna”.

La maschera in acciaio inossidabile

Dopo l’incidente ai mondiali di Roma, un grande balzo di ammodernamento qualitativo

Ma il vostro mestiere dove si impara?
“Da nessuna parte! O meglio, a fare le maschere si impara qui, mentre per la sistemazione delle armi organizza dei corsi anche la Federazione. Purtroppo non è facile trovare ragazzi giovani che decidono di fare questo mestiere. Per il laboratorio sartoriale è un po’ più semplice: servono brave sarte. Ma per la parte di officina, dove si fanno le maschere, le else e si assemblano le lame nude, trovare personale è molto difficile. Ci vogliono mesi e mesi per imparare! Al momento abbiamo due ragazzi di Sri Lanka, che si sono appassionati e sono diventati bravi”.

Fate tutto per la scherma, tranne le lame. Perché?
“Perché per fare le lame ci vuole una specie di altoforno, che non possiamo inserire qui. Inoltre per le lame ci vogliono competenze specifiche”.

Negli ultimi anni i materiali con cui sono realizzate le divise sono molto cambiati. E anche la sicurezza schermistica è aumentata…
“Direi che c’è stata una vera e propria rivoluzione che è iniziata nel 1982, a seguito di un gravissimo incidente ai Campionati del Mondo di Roma, dove morì uno schermitore: si ruppe la lama del suo avversario e il troncone rimasto gli sfondò la maschera, uccidendolo. Ci fu un’inchiesta, ma le norme di sicurezza previste erano state tutte applicate. Solo che ormai erano regole troppo blande, andavano adeguate”.

E quindi?
“Si formò una Commissione specifica della Federazione Internazionale di Scherma di cui anche noi, come impresa costruttrice, fummo chiamati a far parte, per arrivare alla definizione di nuove norme in materia di sicurezza schermistica. Dopo circa cinque anni di lavori, venne stilato un capitolato costruttivo per ogni singolo prodotto: un grande balzo di ammodernamento qualitativo”.

Ad esempio?
“La maschera dal ferro passò all’acciaio inossidabile, le divise dal cotone passarono a tessuti con filati ad alta resistenza. Questo determinò un aumento del livello di sicurezza, ma anche un notevole aumento dei costi: la scherma divenne ancora più cara”.

Quanto costa una divisa?
“Per giacca e pantaloni si va dai 350 ai 500 euro, per una lama si arriva a 200 euro. Poi servono maschera, guanti, scarpe, giubbetto elettrico… alla fine, si superano i mille euro. Anche lo sci ha costi alti, ma la differenza è data dall’usura dei materiali: durante un incontro, le lame si possono rompere e in una stagione agonistica si può arrivare a cambiarne anche tre o quattro”.

A Verona quanti praticano la scherma?
“Circa 250 persone”.

Lei tira di scherma?
“Ho fatto scherma per dieci anni. I miei mi avevano obbligato! Però mi è servito tanto, perché ora capisco meglio qual è l’esigenza di uno schermitore rispetto al prodotto”.

Qual è il bello di questo sport?
“É uno sport individuale, quindi dipende tutto solo da te. Ti insegna ad agire velocemente in base all’avversario. É tattica e velocità insieme. É eleganza. E poi ti abitua ad avere i riflessi pronti: ancora adesso, se mi cade una cosa, riesco a prenderla al volo!”.

A parte il fatto che è uno sport di élite, visti i costi, come mai in Italia lo praticano in pochi?
“In Italia c’è solo il calcio. I numeri della scherma sono un po’ aumentati negli ultimi vent’anni, ma rispetto alle altre due grandi nazioni europee che fanno scherma, Germania e Francia, noi siamo quelli con meno iscritti. In Francia fanno scherma in 100 mila, in Italia non arriviamo a 20 mila. E nonostante i numeri bassi, riusciamo a rimanere un’eccellenza: facciamo una scherma di alto livello. Forse ce l’abbiamo nel Dna”.

Rossella Lazzarini