Mercoledì 6 dicembre, alle 20.45, arriva al Teatro Camploy “Tipi umani seduti al chiuso. Partitura sentimentale per biblioteche” di Lucia Calamaro, appuntamento in programma per la rassegna L’Altro Teatro che porta a Verona il meglio del teatro e dei linguaggi contemporanei nazionali e internazionali. Lucia Calamaro, considerata una dei maggiori drammaturghi contemporanei, usa la drammaturgia come strumento capace di trovare parole coerenti per descrivere quello che tutti sentono ma non sanno esprimere, indagando profondamente l’essere umano nelle sue pieghe più nascoste e doloranti. Assieme alla regia, ogni suo spettacolo è un sottile lavoro di scrittura e aggiustamento che cuce con cura addosso agli attori e ai corpi che incarneranno le sue parole, in una perfetta sintesi tra letteratura e teatro. La produzione del TSV -Teatro Nazionale, nata in collaborazione con l’Università degli Studi di Padova in occasione degli 800 anni di vita, è interpretato da Riccardo Goretti, Lorenzo Maragoni, Cristiano Moioli, Cristiano Parolin, Filippo Quezel, Susanna Re, Simona Senzacqua. I tipi umani di Calamaro sono sette persone in una biblioteca dove libri e tavoli diventano un habitat di sicurezza e di conforto, ma anche di litigio e violenza, espressione di un’umanità̀ varia e spesso disperata, problematica ma anche felice, dove fa capolino ogni tanto l’autore del libro che si sta consultando: Joyce, Pirandello, Santa Teresa, Molière o Plath. “Questo lavoro – spiega Lucia Calamaro – cerca di tratteggiare attraverso la metafora della circolazione – circolazione delle parole, dei libri, del sangue, degli affetti; attraverso, quindi, il costante flusso dei movimenti che compongono l’andirivieni di un’esistenza, due luoghi particolarmente lontani, ma allo stesso tempo fondanti, dell’umano: l’intelligenza e l’animalità. Luoghi che ci sembra, quando raggiungono i loro rispettivi apici, si trasformano in poesia o in scienza da una parte, e in rabbia e violenza dall’altra. La sensazione, del tutto personale, è che questo presente, che è il nostro, si muova unicamente tra questi due estremi, e oramai da un po’”. La biblioteca in cui si svolge lo spettacolo è un luogo semplice e circoscritto, affetto da sospettosa nostalgia del Novecento, lento, poco abitato dove il corpo si piega alla téchne della sedia. L’animale umano si china su un libro e la bestia tace. Impossibile leggere o fare altro. La lettura è un’attività esclusiva. Qui si trova una donna, Simona, che di mestiere scrive, ma non riesce a farlo a casa sua. Il suo immaginario si riattiva solo e unicamente in biblioteche piccole e poco frequentate. Nella mente di Simona appaiono piccole figure minori. Ci sono tre bibliotecari, Riccardo, il nipote Cristiano e Lorenzo, con piccole biografie spampanate. Riccardo, sentimentale e buono senza scampo, ha un figlio in rivolta col mondo, un giovane Cristiano (nome ricorrente di famiglia) sofferto e sfiduciato che ce l’ha su con tutto ma soprattutto con se stesso. La moglie Laura. È via, si è presa una vacanza dalla casa. Torna? Mah. Il nipote Cristiano è un nostalgico dell’Ottocento, non trova pace o conforto alcuno nella contemporaneità, è fuori tempo. Lorenzo è contento di essere lì e di essere bibliotecario. Classicamente innamorato di una ragazza in lotta dichiarata col sistema che proprio non lo vuole, Susanna, che suona note tristi. Simona fa arrivare in questo biblioteca-tinello di umori e stati d’animo mesti, lo straniero: cerca lavoro Filippo, tipo strano, curatore d’arte d’improbabili artisti conosciuti solo da lui, colto ma d’impianto inaffidabile. I soliti temi bussano alla sua solita vita. I personaggi vanno e vengono. I toni a volte si alzano, il cuore non sa che farci di esser cuore. Certe note assemblate sgocciolano malinconia.