Dopo il grande successo di “Così è (se vi pare)” di Luigi Pirandello, il Grande Teatro, rassegna organizzata dal Comune di Verona in collaborazione col Teatro Stabile di Verona, prosegue con “La valigia” del giornalista-scrittore russo Sergei Dovlatov scomparso nel 1990 non ancora cinquantenne.
Lo spettacolo è in scena al Nuovo da martedì 31 gennaio a sabato 4 febbraio alle 20.45 e domenica 5 alle 16.00. Ne è protagonista Giuseppe Battiston che ne cura anche l’adattamento a quattro mani con Paola Rota, regista dello spettacolo.
“La valigia”, che giunge a Verona subito dopo il suo debutto, è prodotto da “Gli Ipocriti – Melina Balsamo”. Vi giunge tra l’altro pochi giorni dopo l’uscita, nella sale cinematografiche, del film “Io vivo altrove!” che segna il debutto di Battiston nella regia. Del film, un inno all’amicizia e al ritorno alla natura liberamente ispirato a “Bouvard e Pécuchet” di Gustave Flaubert, Giuseppe Battiston è anche il protagonista insieme a Rolando Ravello. Dovlatov vide le sue opere pubblicate negli Stati Uniti e in Europa dopo il 1978, anno in cui emigrò a Vienna e da lì a New York dove raggiunse la moglie e la figlia. Prima di allora i suoi romanzi erano circolati in Unione Sovietica come copie clandestine. La valigia, pubblicata nel 1986, riguarda proprio la sua esperienza di migrante. Alla vigilia di una partenza che porta il marchio dell’irreversibilità si devono scrivere su un foglio dodici cose che si porteranno via. Una volta fatta la lista, a ogni coppia di cose va associato un ricordo. A ogni coppia di ricordi, un sentimento.
La valigia diventa così metafora della diasporica condizione umana, di un sentirsi emigranti dello spazio e del tempo. Attraverso gli oggetti e i ricordi che questi attivano, Battiston dà vita a una serie di personaggi che riemergono dalla memoria: uomini e donne raccontati con il filtro della distanza, della distorsione e della comicità. In questo passaggio tra presente e passato, si articola lo spettacolo che usa come dispositivo di racconto e di evocazione uno studio radiofonico, attingendo alla storia di Dovlatov giornalista e reporter. Un testo per provare a dissacrare il sacro; per imparare a rispettare ciò che rispettabile non è, per capire che, a dispetto di ogni logica, i valori umani esistono solo al di fuori delle convenzioni. «Leggendo e rileggendo Sergei Dovlatov viene in mente Cechov» hanno osservato i critici di questo scrittore ebreo russo prematuramente scomparso in esilio, dallo stile di vita molto appartato rispetto allo stesso mondo della dissidenza. Tanto appartato e originale da aver fatto dire di sé che era un “dissidente dalla vita” per come vi si approcciava: sempre in modo amaro e dissipatorio, un po’ nello stile di Raymond Carver. Dovlatov racconta di piccoli episodi quotidiani, dai quali trae, mescolando il grottesco della vita con la bizzarra natura filosofica dei suoi personaggi (il più delle volte persone ai margini che si arrangiano a vivere in Russia come in America), pessimistiche lezioni cariche di irresistibile umorismo e assolutamente veritiere. Ma cosa contiene quella valigia che un giorno, per caso, salta fuori dal suo armadio, dimenticata? Vi sono oggetti portati via da Leningrado. Tutti che corrispondono a un episodio o a un personaggio della vita vagabonda di Dovlatov.