E’ un cantiere ancora aperto il decreto legge Covid di cui si discute questo pomeriggio in Consiglio dei ministri: si lavora ancora al meccanismo che potrebbe consentire un margine per le aperture intorno al 20 aprile per le Regioni che abbiano dati di contagi particolarmente bassi. A quanto si apprende da fonti di governo, la norma è al centro di un confronto molto acceso tra i ministri e diverse ipotesi sul funzionamento del meccanismo sarebbero state fatte e già stralciate.Dunque l’esito finale del lavoro in corso si conoscerà probabilmente solo a ridosso del Cdm. Non dovrebbe esserci un automatismo per gli allentamenti, che potrebbero riguardare attività come bar e ristoranti che potrebbero tornare ad aprire a pranzo. E il decreto dovrebbe escludere per tutto il mese la zona gialla.
L’ipotesi più probabile è che fino a fine aprile l’Italia rimanga rossa e arancione, escludendo ipotesi di “giallo”, proprioper evitare riaperture che oggi come oggi, dati alla mano, sembrano francamente difficili.
Ma il centrodestra spinge per un meccanismo di revisione delle misure non aleatorio, che dia concretezza alla possibilità di riaprire (“lavoro, sport, vita”, dice la Lega). Mentre i ministri di Leu, Pd e M5s sarebbero schierati per una linea di massima prudenza, senza “illudere” i cittadini con ipotesi che poi in concreto sarebbero i dati stessi del contagio a smontare.
“Vedremo come finirà, bisogna sempre passare dal Cdm”, dice un ministro “rigorista” non escludendo che la norma per le aperture salti. Più fonti confermano che il confronto è ancora apertissimo tra i ministri e non si è trovata una mediazione, in attesa della sintesi che farà il premier Draghi.
LE PREVISIONI DELL’ESPERTO. «Secondo i nostri calcoli matematici tra il 6 e il 7 di aprile avremo il picco della mortalità per Covid. Qualche giorno prima, tra Pasqua e Pasquetta, il picco per le terapie intensive. Intanto per quanto riguarda la curva dei positivi al virus, l’appiattimento lo abbiamo già adesso», commenta, interpellato dall’Ansa, Giovanni Corrao, docente di Statistica medica dell’Università Milano Bicocca.
Corrao tuttavia mette in guardia: «Non ci facciamo condizionare dal dato giorno per giorno perché i numeri sono ballerini. Risentono cioè di fluttuazioni difficili da valutare, a partire da come le singole regioni fanno lo screening, al conteggio dei sintomatici».«Quel che conta adesso – spiega – è che i provvedimenti restrittivi decisi più di quindici giorni fa cominceranno ad avere effetto intorno a Pasqua, poiché tra le misure e i risultati c’è sempre un periodo di latenza. Abbiamo un’esperienza di quasi 13 mesi, è chiaro che le chiusure comporteranno dei benefici».
Chi ha avuto il Covid, deve essere vaccinato?
Chi è stato positivo a Sars-CoV-2 ed ha avuto Covid-19 deve vaccinarsi? Il celebre immunologo Alberto Mantovani ha spiegato che sarebbe utile somministrare una sola dose ad almeno tre mesi di distanza ed entro i sei mesi dall’infezione. Ragione per cui ai positivi e ai malati della prima ondata dovrebbero andare due dosi, come per il resto della popolazione. In precedenza c’era chi era stato più netto. Fra questi Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto Spallanzani di Roma, che lo scorso dicembre spiegò come “chi ha avuto il Covid non deve vaccinarsi contro la malattia perché ha sviluppato anticorpi naturali, semmai dovrà controllare il livello di questi anticorpi. E quando questi dovessero scendere, si può riconsiderare una vaccinazione”.
Il ministero della Salute suggerisce una sola dose fra tre e sei mesi dopo l’infezione ma l’immunità garantita dai vaccini è più forte e duratura. Le indicazioni del ministero della Salute sono chiare, e risalgono all’inizio di marzo: per chi ha superato infezione ed eventualmente sviluppato la sindrome “è possibile considerare la somministrazione di un’unica dose di vaccino anti-Sars-CoV-2”.