La “strage di Stato” non ha fine: con il detenuto senegalese di 69 anni, che si è suicidato nel carcere di Verona, siamo a quattro suicidi in tre giorni raggiungendo il numero record di 18 suicidi in due mesi e mezzo, mai raggiunto prima persino nello scorso terribile anno dei 90 suicidi. A queste morti vanno aggiunte, sempre negli ultimi giorni, quelle per cause da accertare di un marocchino di 35 anni a Bologna e di un africano (non è nota la nazionalità) di 50 anni a Poggioreale-Napoli. Su 66 decessi sono ben 47 i casi complessivi per cosiddetta “altra causa”. Lo sostiene Aldo Di Giacomo, segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria.
“Intanto per capire meglio un fenomeno così complesso, perché almeno per noi non si tratta di “eventi inevitabili” come qualcuno continua a sostenere, c’è bisogno di aggiornare il profilo suicida. L’identikit del detenuto suicida si caratterizza per età sempre più giovane, che in media già nel 2024 si è abbassata alla fascia under 35enni, per problemi mentali con l’aumento del 40% di suicidi tra detenuti a disagio psichico che non avrebbero dovuto trovarsi in istituti penitenziati e cresce il numero di stranieri soprattutto nord-africani. Sono tutti elementi che richiedono un piano di supporto psicologico con la presenza nelle carceri di psicologi, psichiatri, mediatori culturali, come di interpreti perché la mancanza di comunicazione incide tanto. Come sindacato abbiamo da tempo proposto l’apertura di uno Sportello di aiuto psicologico in ogni struttura e la promozione di attività sociali e lavorative oltre a corsi di formazione e di lingua per gli extracomunitari. Non sappiamo francamente – dice Di Giacomo – perché la situazione è sfuggita di controllo allo Stato non solo per la tutela della vita di quanti ha in custodia ma per la più grave emergenza di tutti i tempi per numero di aggressioni al personale – in media 30 agenti ogni settimana – di telefonini ritrovati – una ventina a settimana – di risse, proteste violente e tentativi di fuga, il sovraffollamento delle tre carceri lucani, la grave carenza di organici. In questo scenario di guerra che il personale penitenziario si ritrova a fronteggiare, pur non essendo stato ingaggiato per conflitti, la priorità per il DAP sono diventate le stanze per l’amore. C’è solo da vergognarsi”.
C’è chi tra le associazioni di volontariato parla della necessità di un “sussulto umanitario”. Per noi è indispensabile un sussulto dell’Amministrazione Penitenziaria e della politica ad occuparsi seriamente del carcere e non certo a limitarsi alle “lacrime di Coccodrillo” di queste circostanze. L’emergenza ha superato il punto limite con lo Stato incapace di garantire la vita delle persone che
ha in custodia e la vita del personale oggetto di quotidiane. Esistono – conclude Di Giacomo – misure alternative che, oltre a prevenire la reiterazione di un reato, favoriscono il reinserimento nella società. Non si tratta di scorciatoie o concessioni buoniste ma di un vero dovere costituzionale. Occorrono però strumenti e finanziamenti mirati ed efficaci, collaborazione degli enti locali e dell’amministrazione penitenziaria”.