Quando il costo della vita corre di più dei redditi, la conseguenza è solo una: i cittadini perdono potere d’acquisto, i consumi calano. E nel Veronese – secondo gli ultimi dati diffusi nelle settimane scorse dal Ministero delle Finanze (redditi 2018 su anno di imposta 2017) ed elaborati dallo Spi Cgil del Veneto – sta succedendo proprio questo. Il reddito medio pro-capite nel territorio scaligero è passato da 20.211 euro del 2016 a 20.144 euro del 2017: una riduzione dello 0,3% che rende più pesante il livello di inflazione, stimato all’1,23%. Non solo: nel Veronese più di due contribuenti su cinque vivono con meno di mille euro netti al mese. A dimostrazione che anche nel territorio scaligero molte famiglie faticano a far quadrare i propri bilanci. “L’analisi del sindacato dei pensionati – commenta Adriano Filice, segretario generale dello Spi Cgil di Verona – rientra nell’ambito della negoziazione sociale, che vedrà i sindacati dei pensionati confrontarsi con amministrazioni ed Enti locali per individuare politiche mirate a tutelare le fasce di popolazione più deboli, in particolare gli anziani. Nel nostro territorio, come si può vedere, le difficoltà economiche non mancano. E crescono anche le diseguaglianze sociali”. Proprio per ciò che concerne le diseguaglianze, i dati elaborati dallo Spi raccontano in modo preciso un trend ben definito. In provincia di Verona, a differenza delle altre province venete, la categoria che perde di più è quella degli imprenditori in contabilità ordinaria che vedono il proprio reddito scendere da 42.853 (2016) a 38.678 euro (2017). Penalizzati anche i lavoratori dipendenti (reddito che scende da 21.072 a 20.830 euro) come in tutto il resto della regione. Mentre aumentano i guadagni soprattutto dei lavoratori autonomi (da 48.325 a 49.990 euro). I pensionati, infine, mantengono inalterato il loro potere d’acquisto, grazie agli accordi del 2016 fra i sindacati e i precedenti governi, ma risultano comunque la categoria più povera, con assegni medi di poco superiori ai 17.162 euro lordi annui. Le diseguaglianze sociali possono essere riassunte anche da un altro dato: nel Veronese il 14% della ricchezza prodotta è distribuita fra il 41% dei contribuenti, quelli che dichiarano meno di 15 mila euro lordi l’anno; un altro 15,6%, invece, è suddiviso fra il 2,5 di lavoratori, quelli che denunciano redditi superiori ai 75 mila euro. “Questi dati – commenta Adriano Filice, segretario generale dello Spi Cgil di Verona – dimostrano ancora una volta come anche nella nostra provincia la ricchezza si sposta sempre più verso l’alto, accrescendo il divario fra le varie categorie sociali. Da noi, a differenza che nelle altre province, a rimetterci sono soprattutto i lavoratori dipendenti. I nostri pensionati, invece, non se la passano bene anche se le nostre battaglie a livello nazionale hanno permesso di tutelarne il potere d’acquisto. Alla base di questa situazione pure nel nostro territorio vi sono la persistente precarizzazione del lavoro, i blocchi contrattuali e il continuo aumento dell’evasione fiscale che mette in difficoltà gli equilibri contabili delle nostre amministrazioni locali”. In tale contesto, conclude Filice, “diversi Comuni, approfittando dello sblocco dei tributi previsto dalla legge di bilancio 2019, hanno modificato le aliquote Irpef. Constatiamo positivamente come alcuni sindaci, come quelli di Affi, Nogarole Rocca, San Giovanni Lupatoto, Valeggio sul Mincio abbiano allargato le fasce di esenzione per i redditi più bassi. Altri, come quelli di Belfiore, Buttapietra, Illasi, Isola Rizza, San Pietro di Morubio, Sorgà, Tregnago e Zevio, hanno invece inasprito la pressione fiscale senza distinguere fra redditi alti e redditi bassi, aumentando così le diseguaglianze sociali”
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