L’1% dei notai italiani guadagna «notevolmente di più» del restante 99% della categoria. E se i redditi subiscono (nel 2015) una lieve impennata, arrivando mediamente a circa «240 mila euro», sui ricavi dei professionisti continuano a gravare consistentemente i costi, giacché «sul fatturato il 56% se ne va via in spese per mantenere il servizio». È l’istantanea scattata dalla Cassa previdenziale del Notariato sulla condizione dei propri iscritti, e resa nota a Verona, nel corso del 51° congresso dal presidente Mario Mistretta che, ha detto a ItaliaOggi, «nel 2006», prima, cioè, che divampasse la crisi economica globale, «1.100 colleghi (il 22%) potevano vantare un reddito medio mensile netto di circa 5.000 euro, mentre nel 2014 il 70% (3.400) ha entrate mensili nette pari a 5 mila euro. E su queste somme pesano il nostro rischio d’impresa e gli investimenti per la gestione dell’attività che superano della metà i nostri rendimenti», ha proseguito. Inoltre, se nel 2006 la percentuale della platea «con un reddito netto inferiore ai 2 mila euro era del 4%, pari a 180 notai», nel 2014 è salita fino all’«11%», comprendendone 564, mediamente con 48 anni d’età. «È il dato che fotografa il nostro impoverimento», ha osservato il numero uno dell’Ente pensionistico, «e la collocazione geografica degli iscritti con redditi più o meno buoni segue il pil nazionale», ossia con un vantaggio di chi esercita nelle regioni settentrionali, rispetto al resto del Paese.