Ilaria e Miran, non cada il silenzio Ventotto anni dopo la loro uccisione c’è ancora una straordinaria voglia della verità

28 anni sono trascorsi dal 20 marzo 1994 e questo tempo non è bastato a far emergere una verità giudiziaria sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Il libro inchiesta, curato da Luigi Grimaldi e Luciano Scalettari e pubblicato nel 2019, è innanzitutto un lavoro collettivo. Giornalisti e colleghi che non accettano la manomissione sistematica della verità, che non accettano che si dimentichi. E così, i sei capitoli che compongono la narrazione, raccolgono e mettono in fila fatti, depistaggi, verità nascoste e fino ad ora taciute, restituendoci un quadro fortemente disturbante.
Perché quello di Ilari Alpi, giornalista Rai inviata del Tg3 e del suo operatore Miran Hrovatin, non è banalmente e soltanto “un duplice omicidio in un paese di guerra” come affermato da Carlo Taormina. È invece un’esecuzione in piena regola. E la parola depistaggio ritorna spesso in questo libro inchiesta, pronunciata per la prima volta dai magistrati del Tribunale di Perugia. Perché spariscono i certificati medici, spariscono pagine di appunti e interi bloc-notes spariscono le video cassette dei servizi realizzati in Somalia per poi ricomparire sì ma prive delle parti più compromettenti.
A queste sottrazioni chirurgiche si sommano le testimonianze rivelatesi poi infondate, l’incarcerazione di un innocente usato come capro espiatorio, una serie di morti collegate alla vicenda di Ilaria e Miran, colpevoli di cercare la verità e di aver messo in crisi, con il loro lavoro, un sistema internazionale di rapporti.
La loro eliminazione fu probabilmente decisa in fretta e non per qualcosa che i due giornalisti sapevano di certo, quanto piuttosto per il timore di ciò che avrebbero potuto acquisire e scoprire di lì a poco, considerate le fonti che Ilaria dimostrava di avere, il suo fiuto e la direzione delle sue indagini. La loro esecuzione viene molto probabilmente decisa in Somalia da figure somale ma “molto italiane per contiguità di rapporti, affari e relazioni di malaffare”.
Se nei primi giorni dall’arrivo in Somalia gli spostamenti di Ilaria e Miran sono infatti coerenti con il reportage principale, la chiusura della missione militare italiana di pace Ibis, nei giorni successivi l’inviata del Tg 3 fa quello che nessun inviato farebbe: si allontana da ciò che passa per essere il centro della notizia. Ma Ilaria sapeva bene che cosa stava facendo. Ilaria univa dei punti, collegava fatti lontani, rimettendo insieme i frammenti di un intero coerente disegno politico. Tutto ciò faceva parte del suo mestiere e dell’istinto del suo mestiere. Tutto ciò non può essere semplicemente sepolto. Tutto ciò deve invece spingerci a pretendere ostinatamente che su questa vicenda non cali il silenzio.

Giulia Tomelleri