Rimanendo con il nostro percorso storico artistico nell’ambito della pittura veneta, anche se magari non molto popolare se non agli addetti ai lavori, cerchiamo oggi di conoscere Giacomo Favretto, pittore nato a Venezia l’11 agosto 1849, morto sempre a Venezia il 12 giugno 1887. Il padre era un modesto falegname e lui studiò pittura nell’Accademia di belle arti di Venezia sotto il Grigoletti ( 29 agosto 1801-Venezia 11 febbraio 1870 è’ stato un pittore italiano) e il Molmenti ( Pompeo Marino Molmenti, Villanova di Motta di Livenza, 8 novembre 1819 – 17 dicembre 1894, è stato un pittore italiano). Era quello il tempo in cui Antonio Rotta (28 febbraio 1828, Venezia, 10 settembre 1903, stato un pittore italiano di genere, della seconda metà del 1800) con capacità pittoriche, e con insistenza fredda e minuziosa, riproduceva scene familiari e della vita popolaresca veneziana, e Eugenio Bosa (nacque a Venezia il 15 sett. del 1807. Precocissimo, incominciò a lavorare, spinto dal padre, come scultore e cominciò a dedicarsi alla pittura affermandosi rapidamente) destava ammirazione con le sue visioni chioggiotte molto leziose. L’entusiastica natura del Favretto presto lo tiro’ fuori però’ da questo manierismo accademico e da questa leziosità romantica per ricollegarlo, attraverso l’austriaco Ludovico Passini ( 1832–1903, nato a Vienna e vissuto in Italia, principalmente a Venezia, fu uno di quegli artisti usciti dal ceppo accademico che continuavano la tradizione pittorica senza spezzarla e che erano più professionisti che “artisti” nel senso moderno del termine) l’olandese Carlo van Haanen, ( pittore olandese che con la sua opera creò una via di mezzo tra tradizione e innovazione: natura vera e immediata, ma soffusa di atmosfere tardoromantiche. “La Lezione di anatomia” è il quadretto col quale rivelò nel 1873 la sua personalità. Non ha ancora, per così dire una sua tavolozza ben formata, ma in questa opera, come nel bozzetto “La Sartona” (1876), rivela uno sforzo costante di raggiungere una potente impressione realistica. “Il Sorcio” (1878) è il suo primo quadro, una delle scene più vivaci, in cui si mostra la prima espressione dell’elemento umoristico popolare, mentre invece più sobrietà e libertà di pennello si trovano in “Vandalismo” (1878). Ormai il pittore ha trovato la sua strada e la percorre col suo spirito equilibrato che lo porterà a far tesoro dell’esperienza altrui, senza pregiudizio della sua originalità. Un po’ più tardi la sua pittura ritorna alla commedia chiacchierina, maliziosa. Ad un tratto nella sua pittura arriva un fiume di luce che crea finezze incomparabili, in quella pittura chiara, squillante, argentina. Il gioco della tavolozza, diventa ora estroso anche se ancora un po’ pettegolo, dove le tinte passano sul quadro senza miscela. Dopo “il Bagno” anche la composizione trascura la determinazione dei personaggi per rendere l’intima poesia dell’ambiente. L’evoluzione è compiuta nelle sue ultime opere. Il Favretto fu, per i suoi tempi, un ribelle, ma temperato dal freno dell’arte e della tradizione. Fra i moderni nessuno ha saputo come lui esprimere l’anima di Venezia. Egli il poeta della calle e del campiello, il commediografo della pittura. Morirà prematuramente di febbre tifoide, che nel 1877 gli aveva provocato la perdita di un occhio, il 12 giugno 1887 a trentasette anni, nel corso dell’Esposizione nazionale artistica tenutasi nella città lagunare nella quale l’artista, all’apice della notorietà, espone anche “Il Liston moderno”, rimasto incompiuto e ritenuto da sempre per giudizio unanime il suo capolavoro. È sepolto nel cimitero di san Michele a Venezia.
Tiziano Brusco