Il viaggio tra i veronesi illustri: Francesco Hayez

Nato Venezia il 10 Febbraio 1791 nella parrocchia di S. Maria Mater Domini. Fu presso la casa degli zii che ricevette una prima educazione, soprattutto per iniziativa dello zio Francesco, il quale aveva per tempo intuito le inclinazioni e il talento artistico del nipote, anche se in verità sperava di farne un bravo restauratore da impiegare per le proprie attività commerciali. Fin dall’inizio, frequentò la scuola di disegno tenuta da un certo Zanotti, che morì però poco tempo dopo. L’Hayez passò quindi sotto la guida del pittore veneziano Francesco Maggiotto, che allora godeva in città di una distinta notorietà ed era ispettore alla tutela dei dipinti esposti nelle chiese. Hayez poté così ampliare la sua cultura figurativa e cominciare a acquisire personali orientamenti di gusto, a contatto con le opere dei grandi maestri veneti del Settecento. All’inizio del 1800 per dare una più decisiva formazione artistica al giovane, Francesco Binasco fece in modo che il nipote potesse frequentare la allora celebre galleria Farsetti. Dopo l’unione di Venezia al napoleonico Regno d’Italia (1806), venne fondata la nuova Accademia, che venne trasferita nei locali della ex Scuola della Carità. A questi anni risalgono i primi dipinti documentati del giovane artista: un “Ritratto della famiglia del pittore”- in cui compare lo stesso Hayez e una “Adorazione dei magi”, realizzata entro il 1809 per i padri armeni. Nell’ottobre dello stesso anno partì alla volta di Roma. Grazie all’incoraggiamento poi di Canova e di Cicognara, che riponevano in Hayez le speranze di vedere finalmente restaurata una grande pittura nazionale italiana. Nel 1812 l’artista prese parte al prestigioso concorso indetto dall’Accademia milanese di Brera sull’impegnativo tema classico del “Laocoonte. ”Nonostante l’autorevole influenza dei mentori dell’Hayez e l’indubbia qualità del suo lavoro la commissione giudicatrice non volle scontentare neppure Andrea Appiani, che sosteneva il suo delfino Antonio De Antoni, e dunque optò per un diplomatico primo premio ex aequo. Si trattava comunque della prima vera, importante affermazione pubblica dell’Hayez sulla scena nazionale, alla quale fecero seguito altri successi nel giro di pochi anni. Per questioni amorose, per evitare scandali, Canova gli impose di lasciare la città e recarsi per qualche tempo a Firenze. Ma non tardò a ottenere un nuovo e prestigioso incarico. Rientrato subito a Roma col permesso di Canova e dietro suo suggerimento, il pittore si rimetteva dipingere “l’Ulisse alla corte di Alcinoo”. In questo stesso periodo, l’Hayez aveva cominciato a frequentare la casa della famiglia Scaccia, dove conobbe Vincenza, sua futura moglie. Si sposò il 13 aprile 1817 nella parrocchia di S. Maria in Via; ma già nel giugno seguente la coppia lasciava la città per recarsi a Venezia, dove il pittore era stato convocato dal conte Cicognara per partecipare alla realizzazione di un complesso gruppo di opere. Tra gli esempi più significativi della ritrattistica di Hayez più matura si possono invece ricordare almeno il “Ritratto di Alessandro Manzoni” del 1841, oggi a Brera; “l’Autoritratto”, pure nella Pinacoteca. Dagli anni Cinquanta in poi si moltiplicarono per il pittore gli incarichi accademici e i riconoscimenti ufficiali. Nel 1850, quasi sessantenne, ottenne la cattedra di pittura all’Accademia milanese, anche se già due anni dopo veniva maturando il proposito di lasciare l’insegnamento. Nel 1860 riceveva la nomina a professore onorario dell’Accademia di belle arti di Bologna, mentre nello stesso anno Massimo d’Azeglio gli affidava la presidenza di quella milanese in sua rappresentanza. Già dalla metà del settimo decennio l’artista aveva cominciato a dedicarsi soltanto a opere meno impegnative, soprattutto alla ritrattistica, dalla quale uscivano comunque ancora dei capolavori. Nel 1880, dopo essere stato nominato professore onorario di pittura dell’Accademia di belle arti di Milano, il 9 gennaio si ritirò definitivamente dal servizio effettivo. L’Hayez morì a Milano il 12 febbraio 1882.

Tiziano Brusco