Il viaggio tra i veneti illustri: Giorgione

Non si conosce con esattezza la data della nascita di Giorgione a Castelfranco Veneto tra il 1477 e il 1478. I documenti che lo riguardano sono pochissimi e si concentrano negli anni 1506-08. Il 14 agosto 1507 il Consiglio dei dieci ordina a Francesco Venier, provveditore al Sale e cassiere della fabbrica, di pagare a Giorgione 20 ducati quale anticipo per un telero di soggetto imprecisato da collocare nella sala dell’Udienza in palazzo ducale. La fonte più importante di informazioni è il quaderno di Marcantonio Michiel, un giovane patrizio amatore e collezionista d’arte, che negli anni 1521-43 vi annotò sintetiche descrizioni, corredate di precise indicazioni di paternità, dei quadri visti nelle raccolte veneziane: è lui che ci ha lasciato testimonianza di diverse opere sicure di Giorgione tra cui le più famose, la Tempesta e i Tre filosofi. Il maggior merito della biografia scritta da Vasari è quello d’avere almeno approssimativamente stabilito la data di nascita del pittore: al 1477, stando alla prima edizione delle Vite, o al 1478, stando alla seconda. Giorgione, con ogni probabilità, giunse a Venezia soltanto verso il 1503-04, dopo aver lasciato in Castelfranco almeno due opere importanti, ma poco fortunate: il fregio di casa Marta (ora impropriamente denominata “casa di Giorgione”), ancora leggibile però trascurato, incompreso, spesso addirittura negato; e la pala in duomo, molto celebre ma talmente alterata da ridipinture antiche e moderne da risultare ormai praticamente ingiudicabile sul piano del linguaggio, pur se ancora valutabile, per le sorprendenti novità d’invenzione e d’impaginazione. In Venezia – come è documentato approdò alla bottega di Vincenzo Catena. Non risulta da alcuna fonte che Giorgione abbia mai avuto bottega personale, ne una scuola. La pala del duomo di Castelfranco (1501-02) presenta una Madonna altissima su un trono molto grande che si perde nel cielo, il Bambino crollato dal sonno secondo le consuete modalità iconografiche del preannuncio della Passione. Tutto ciò è mediato allo spettatore dai due santi, san Francesco e il santo guerriero, dal volto completamente rifatto che può essere Giorgio anche se non se ne è sicuri. Nonostante le tante ridipinture s’avverte nel dipinto un’atmosfera tesa e sofferente, silenziosa e presaga. Tradizionalmente le mura erano identificate con quelle di Castelfranco, ma è stato poi dimostrato che si tratta delle mura di Montagnana. Le imprese private nel giro delle grandi famiglie dovettero introdurre Giorgione nella sfera pubblica e procurargli due importantissime occasioni: la commissione di un telero per la sala dell’udienza del Consiglio dei dieci in Palazzo Ducale; e quella per la decorazione a fresco della facciata sul Canal Grande del fondaco dei Tedeschi, ricostruito in brevissimo tempo dopo il disastroso incendio del gennaio. La commissione gli venne tolta nonostante l’affresco fosse in gran parte finito e i magistrati decisero un compenso ritardato e decurtato, sospesero l’incarico a Giorgione per affidare subito dopo la decorazione della facciata di terra a Tiziano, prontissimo ad accettare il ruolo di pittore di propaganda e a rappresentare la figura allegorica di una Venezia giusta e forte, casta e savia come Giuditta, inviolata e inviolabile come la Vergine Maria. Giorgione aveva perduto la grande occasione, e probabilmente non ne ebbe altre, o non fece in tempo a procurarsele. Gli ultimi due anni sono, o sembrano, clamorosamente vuoti, nonostante molti si siano provati a riempirli con spostamenti o annessioni discutibili. In questo momento di evidente insuccesso e di plausibile disillusione Giorgione sembra tuttavia ritrovare a sprazzi l’orgoglio della sua cultura. Già nel febbraio 1508 s’era impegnato con tal Alvise di Sesti per l’esecuzione di quattro tele con storie di Daniele il giovane sapiente ebreo tra i Caldei. Infine si ritrae nella malinconica fierezza di David guerriero stordito dal confronto con Golia. Per essere contemporaneamente un autoritratto, questo David stralunato segnala nel vissuto del pittore l’aperto autoriconoscimento finale. Poi venne la peste, il contagio, la morte precoce. A Venezia in un giorno imprecisato dell’ottobre 1510.

Tiziano Brusco