“In attesa dell’entrata in vigore della nuova programmazione della Politica agricola comune 2023-2027, è indispensabile approfondire la conoscenza e la comprensione delle tendenze strutturali in atto nell’agricoltura italiana, affinché istituzioni e imprenditori siano in grado di ottimizzare l’impatto delle risorse pubbliche a disposizione”.
Così il presidente della Confederazione Agromeccanici e Agricoltori Italiani (Cai), Gianni Dalla Bernardina, ha commentato il recente studio diffuso dal Centro di ricerche Politiche e Bioeconomia del Crea, che ha analizzato i dati contenuti nel rapporto 2021 della Rete d’Informazione Contabile Agricola (Rica) sulle caratteristiche ed evoluzione delle aziende agricole italiane.
“Uno degli aspetti più significativi che emergono dallo studio – afferma il vicepresidente di Cai, Michele Pedriali – riguarda la dimensione economica del settore primario nel nostro Paese. Purtroppo, i dati ci mostrano un tessuto agricolo nazionale ancora eccessivamente disperso, atteso che quasi i tre quarti delle aziende agricole si trova al di sotto della soglia di 25.000 euro di valore della produzione”.
L’eccessiva frammentazione è confermata da un dato ancor più preoccupante evidenziato nello studio del Crea: la metà delle aziende agricole italiane contribuisce solo al 2% del fatturato globale del settore.
“I dati proiettati dal campione Rica devono far riflettere i decisori politici circa le strategie che dovranno essere adottate a livello nazionale e regionale in vista dell’applicazione della nuova Politica agricola comune – afferma il vicepresidente vicario di Cai, Gianluca Ravizza -. Evidentemente qualcosa fino ad ora non ha funzionato, perlomeno in ampie aree del Paese, se ci troviamo di fronte ad una realtà agricola che, in larga misura, non può pensare di proiettarsi al di là del mercato domestico a causa delle limitazioni imposte da dimensioni aziendali eccessivamente contenute”.
Tra gli indicatori che secondo la Confederazione degli Agromeccanici e Agricoltori Italiani dovrebbero suonare come un campanello d’allarme, vi è l’incidenza percentuale del cosiddetto Primo pilastro, vale a dire dei sussidi per ettaro previsti dalla Politica agricola europea, sul totale delle risorse pubbliche che l’Ue destina alle imprese agricole italiane.
Con l’aumentare della dimensione aziendale, l’incidenza percentuale degli aiuti al reddito sul totale degli aiuti comunitari ricevuti diminuisce, anziché aumentare, come ci si aspetterebbe invece dal fatto che aziende di grandi dimensioni dovrebbero privilegiare gli investimenti produttivi, inclusi tecnicamente nel Secondo pilastro della Pac. Una considerazione che potrebbe essere stravolta da quelle che saranno le nuove disposizioni inerenti al valore dei titoli.
“L’indicatore sulla distribuzione degli aiuti – ricorda il responsabile comunicazione di Cai, Sandro Cappellini – evidenzia una volta di più la necessità di aprire su larga scala l’accesso ai fondi europei per lo Sviluppo rurale anche alle imprese agromeccaniche, con il fine di dare un forte impulso ad un settore primario bisognoso di recuperare competitività in una prospettiva di crescita altamente sostenibile”.