Guardi Hammamet, il film sulla fine di Bettino Craxi, e resti un po’ sconcertato, per quello che poteva dire e non ha detto. Su Craxi e dintorni, sia chiaro. Su un mondo che stava crollando o era già crollato e non tutti l’avevano capito. Guardi Hammamet e ti viene spontaneo, comunque sia il giudizio sul film (buono, sbagliato, sfuocato, mah…) pensare a quel mondo, ai suoi protagonisti, a una stagione che è finita per sempre. In modo inglorioso, certo. Tangentopoli mica è stata un’invenzione, sia chiaro. C’è stata, dimostrata, lampante, disarmante, devastante. E dire “beh, lo facevano tutti”, non serve ad attenuare le colpe, né a giustificare nessuno. In questo senso, giusto dire che se la vittima principale si chiama Bettino Craxi, non è che gli altri “eroi” di quel tempo, fossero dei chierichetti. Detto questo, guardi Hammamet, lo contestualizzi, ci metti quattro riflessioni e hai netta la sensazione di una stagione politica che non è neppure paragonabile a quella che stiamo vivendo. Di uomini, personalità, carisma, spessore, strategia politica, che molto poco (niente?) hanno a che fare con l’Italia di oggi. Là, molto spesso, se non sempre, era una sfida tra giganti. Uomini che uscivano da un percorso delineato, da una “scuola” che imponeva passaggi precisi, definiti. Chi arrivava lassù, non lo faceva per caso, per grazia ricevuta, per i miracoli della “rete”. Non c’era niente di improvvisato, non potevi recitare a braccio. Gli imbonitori da “sagre di paese”, non avrebbero avuto scampo. “Venghino, venghino” dicono oggi aggirandosi nel triste teatrino della politica italiana. E c’è sempre chi gli crede. A chi suona ai campanelli, a chi va a discoteche, a chi urla “al lupo, al lupo”, a chi la spara più grossa. “Quando il sole della cultura è basso, i nani sembrano giganti”, ha detto Karl Kraus. Oggi il sole è (purtroppo) molto basso…
Raffaele Tomelleri