“Il ritratto del duca”, humor e talento Nelle sale italiane questa scoppiettante storia vera, un “lascito” di Roger Michell

A due anni dalla presentazione alla 77ª Mostra del Cinema di Venezia è arrivato finalmente nelle sale italiane Il ritratto del duca, la scoppiettante storia vera di un gentleman insofferente verso autorità e istituzioni che in una Newcastle anni ’60 decide di prendere in ostaggio Il ritratto del duca di Wellington, un Goya di inestimabile valore conservato alla National Gallery.
È Roger Michell a portare al cinema quest’inglesissima pellicola, lo stesso autore che nel 1999 aveva tirato fuori dal suo cappello magico quel cult pop che è Notting Hill e che ci ha lasciati lo scorso settembre a soli 65 anni.
Come il William Thacker-Hugh Grant di allora, il protagonista dell’ultima opera del regista sudafricano è un uomo medio all’apparenza, ma dotato di grandi qualità umane in attesa di essere scoperte: così accade con Kempton Bunton, buffo sessantenne dall’animo di un vero Robin Hood che combatte per avere una televisione a canali gratuiti per gli anziani: un intrattenimento capace scongiurare la solitudine di lunghe giornate e che, secondo lui, dovrebbe essere riconosciuto come diritto inviolabile.
Mosso dalla causa, Bunton da il via a una raccolta firme, inizia a non pagare il canone alla BBC e a trascurare il suo conto in banca, con tanto di angustie e rimproveri da parte dell’intelligentissima e cauta moglie Dorothy. Quando però il figlio Jackie gli offre una possibilità di riscatto, Kempton coglie l’occasione per dare inizio a una battaglia per la parità sociale che scompiglierà media e alti vertici dello stato.
Inutile precisare che una vicenda ai limiti dell’assurdo come questa fornisce una gran quantità di appigli sui quali fare leva per divertire lo spettatore. La formula vincente del film di Michell sta però nell’incredibile facilità con cui il tipico humour inglese si lega a questioni sociali che in un’Inghilterra degli anni ’60 in piena crisi da riconversione economica avevano un peso tutt’altro che secondario: disparità sociali, diritti e garanzie dei lavoratori, giustizia economica e molti altri temi attraversano infatti l’intero racconto in modo trasversale, mescolandosi a battute caustiche e alle assurde gesta di protagonisti segnati da grandi sofferenze e guidati da una profonda bontà d’animo.
Tra loro, la parte del leone spetta al Kempton di Jim Broadbent, che col suo volto da matto geniale rende irresistibili e tremendamente british tutti i suoi personaggi, incarnandosi come vero emblema di una poliedricità attoriale ormai più unica che rara; a fianco a lui una Helen Mirren in tono minore, qui nei panni della lavoratrice irreprensibile e bacchettona, ma comunque in grado di riconoscere le cause per cui vale la pena combattere.
Grandi talenti, una ricetta perfettamente dosata in comicità e impegno sociale e puntuali tempi di un racconto brillante non sorprenderanno forse i cinefili più esigenti o i pubblici in cerca di novità, ma sono decisamente sufficienti ad alleggerire l’animo e riempire i cuori di coloro che avranno voglia di farsi trasportare nelle avventure di questa effimera e liberatoria commedia inglese.
VOTO: 8

Maria Letizia Cilea