Il revisionismo storico e la necessità di sensibilizzazione dell’era postcoloniale hanno avuto conseguenze concrete nell’approccio decoloniale con cui gli europei hanno dovuto ripensare i musei etnografici ed antropologici, che intendono illustrare varie declinazioni delle attività umane nelle diverse culture. Come la decolonizzazione si è concretizzata nell’indipendenza politica delle nazioni, il decolonialismo ha iniziato ad abbattere ciò che è stato definito dal sociologo peruviano Anibal Quijano il “colonialismo della conoscenza”, ovvero il sistema di preconcetti, pregiudizi, errori e volontarie omissioni e parzialità di cui ancora adesso è a volte intriso il pensiero occidentale in relazione alle altre culture ritenute in maggior o minor misura “inferiori”.
Lo studio critico e l’onestà intellettuale hanno quindi permesso di superare la visione razzista e paternalistica con cui artefatti – e artefici – non occidentali erano presentati, riconoscendo al contrario la piena e dovuta dignità di forme culturali semplicemente diverse; e in certi casi, addirittura, proprio la presunta superiorità europea finiva per applicare ad esempio un forte sessismo – molto ben radicato nella società occidentale – ad altre culture che ne erano esenti.
I musei etnografici hanno pertanto il compito di spiegare chiaramente queste dinamiche e i bias che avevano caratterizzato la divulgazione di determinati argomenti: un esempio fra i tantissimi è la narrazione dell’uso di oppio, presentato come vizio tipico della Cina del XVII secolo su cui pesava il giudizio morale della dipendenza da un “narcotico illegale”. Ma non si faceva minimamente riferimento ai possibili usi terapeutici o al fatto che il commercio di oppio nel secolo successivo era stato legalizzato dalla Gran Bretagna e costituiva peraltro la seconda fonte di reddito dell’India britannica.
Uno dei temi più delicati su cui deve riflettere la sensibilità museale è però sicuramente l’esposizione di resti umani, che nel caso dei musei etnografici sono troppo recenti per essere definiti archeologici. Le teorie dell’evoluzionismo, che accompagnavano la mentalità colonialista, si facevano forti di una presunta autorevolezza scientifica derivante anche dalla diretta misurazione di crani e ossa, in un processo di oggettificazione del corpo umano, soprattutto non bianco e/o femminile, allo scopo di una ricerca finalizzata alla validazione di razzismo, eugenetica e sessismo. Consapevoli di questa pesante eredità, alcuni musei sono giunti alla decisione di non esporre resti umani; a questa ragione si aggiunge anche l’impatto che essi hanno sulle culture da cui provengono. Per questo esistono progetti che si occupano di collaborare con le popolazioni interessate al fine di restituire le spoglie umane alle comunità originali, in una piena e rispettosa adesione alla riformulazione decoloniale delle collezioni museali.
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