Il prof che sussurra ai robot: parla Giovanni de Manzoni: Classe 1961, il professore dirige la Chirurgia dell’esofago e dello stomaco a Borgo Trento. E’ stato presidente dell’associazione mondiale per il cancro allo stomaco. E’ lui a coordinare le diverse chirurgie sull’uso delle piattaforme robotiche. 

Polo unico di tecnologia avanzata

Borgo Roma e Borgo Trento sono competitivi sia a livello nazionale che internazionale

L’impiego dei robot nella chirurgia rappresenta una delle maggiori innovazioni degli ultimi due decenni. Da qualche anno anche negli ospedali di Verona sono entrati i robot. Tutte le chirurgie specialistiche – dall’urologia alla ginecologia, dalla chirurgia oncologica dell’apparato digerente a quella pancreatica ed epatobiliare fino a quella otorinolaringoiatrica – si avvalgono dell’impiego dei robot chirurgici presenti in Azienda ospedaliera universitaria integrata. Dall’aprile scorso, inoltre, è stato avviato un progetto, unico in Europa, per lo studio clinico comparativo di chirurgia robotica con le tre piattaforme attualmente disponibili sul mercato, Da Vinci, Hugo e Versius, finora mai utilizzate in contemporanea in una stessa struttura ospedaliera. Per fare il punto sullo sviluppo della chirurgia robotica a Verona abbiamo incontrato il professor Giovanni de Manzoni, direttore del dipartimento di Scienze chirurgiche, odontostomatologiche e materno infantili dell’Università di Verona. Classe 1961, il professor de Manzoni dirige la Chirurgia dell’esofago e dello stomaco dell’Azienda ospedaliera universitaria integrata, con sede al polo Confortini di Borgo Trento. Nel biennio 2013-15 è stato presidente dell’International Gastric Cancer Association, l’associazione mondiale per il cancro dello stomaco. É lui a coordinare le diverse chirurgie specialistiche sull’uso delle piattaforme robotiche.
Professor de Manzoni, come nasce l’idea di puntare sulla chirurgia robotica?
“Il progetto di comparazione delle tre piattaforme attualmente in uso è nato un paio di anni fa, con l’arrivo dell’attuale direttore dell’Azienda ospedaliera. La sua lungimiranza, quella del Rettore e quella della Regione Veneto sono state determinanti. É un progetto unico in Europa e, credo, unico al mondo, in cui si confrontano tre piattaforme robotiche facendo lo stesso intervento chirurgico con ognuna delle tre macchine, in modo da poterle valutare per poi condividere i risultati. A Verona disponiamo ora di cinque robot: uno a Borgo Trento e uno a Borgo Roma per uso clinico, vale a dire per gli interventi di routine, più le altre tre piattaforme che sono a scopo di ricerca e vengono usate per chirurgia urologica, gastrica, ginecologica. L’idea è di far diventare Borgo Roma e Borgo Trento un unico polo con tecnologia avanzata, competitivo a livello nazionale e internazionale”.
Quali sono i vantaggi della chirurgia robotica per il paziente?
“La robotica è mini invasiva, quindi ha i vantaggi della laparoscopia. In più offre una maggiore precisione e consente manovre che con la chirurgia laparoscopica possono essere tecnicamente più difficili. Quindi rende più semplici alcune operazioni, che possono essere apprese ed eseguite con più facilità. Per formare un chirurgo laparoscopico dello stomaco ci vogliono sei anni, con il robot un paio”.
Ma il chirurgo che opera usando le sue mani esiste ancora?
“Esiste ed esisterà sempre, perché tutta la chirurgia d’urgenza e quella molto complessa, anche oncologica, viene fatta in open. Non tutto può essere fatto con il robot. La chirurgia classica esisterà sempre, perché alcune urgenze, alcune patologie, alcuni interventi saranno ancora fatti alla maniera tradizionale. Quello che migliorerà sarà la selezione dei pazienti in cui la robotica darà risultati migliori, rispetto alla chirurgia tradizionale”.
In percentuale quanti saranno i pazienti selezionati per la chirurgia robotica?
“Considerando tutto il territorio nazionale, penso che almeno il 50 per cento della chirurgia verrà sempre fatta in maniera tradizionale. Poi ci saranno i poli all’avanguardia, come il nostro, dove l’uso dei robot sarà maggiore. Un errore politico che è stato fatto in passato in Italia, non certo solo in Veneto, è stato quello di esagerare nella diffusione delle piattaforme robotiche. Darle a tutti gli ospedali è stato uno sbaglio: i robot andavano dati solo ai centri più importanti”.

Gli errori legati a scelte dell’uomo

La tragedia succede quando viene meno il riconoscimento rapido di alcune patologie

Gli interventi chirurgici fatti con il robot sono più brevi o più lunghi di quelli tradizionali?
“Attualmente leggermente più lunghi. Non tanto l’intervento in sé, quanto la preparazione del paziente e altre operazioni connesse. Ma penso che si arriverà ad accorciarli, perché gli strumenti robotici vengono sempre più affinati. Nel giro di pochi anni penso che ci sarà un miglioramento importante della strumentazione”.
Professore, ma se il chirurgo opera a una consolle, chi resta in sala operatoria?
“Il chirurgo alla consolle ha bisogno di un’equipe al tavolo. Un chirurgo esperto in sala operatoria ci sarà sempre. Quello che stiamo cercando di sperimentare sulle tre piattaforme è anche il grado di esperienza che deve avere l’aiuto al tavolo, per ottenere buoni risultati”.
L’uso delle macchine nella chirurgia può ridurre l’errore umano?
“Non penso. Gli errori per noi sono spesso nelle indicazioni: gli errori tecnici hanno un impatto molto più limitato. La tragedia succede quando viene meno il riconoscimento in tempi rapidi di alcune patologie. E quello rimarrà anche con i robot. Con la tecnologia non si abbatte la percentuale degli errori possibili, perché gli errori sono sempre legati a scelte dell’uomo”.
Mentre il chirurgo opera alla consolle ha un ingegnere a fianco, nell’eventualità di problemi alla macchina?
“No, perché in caso di problemi, chi opera può convertire: cioè andare in chirurgia tradizionale. Quindi il malato, da questo punto di vista, è sempre in sicurezza”.
Al paziente viene chiesto il consenso ad essere operato con il robot?
“Gli viene spiegato in dettaglio l’intervento. E se viene fatto in robotica, gli si spiega la motivazione. Precisando, come del resto per la laparoscopia, che se in corso intervento si ritiene necessario passare alla chirurgia tradizionale, si fa senza nessun problema per il paziente”.
Questo sviluppo della robotica richiede una formazione molto lunga?
“La formazione più difficile e più lunga è essere clinici. Cioè avere l’esperienza nell’indicazione e nelle scelte. Dopo, la curva di apprendimento è più accorciata dal robot, rispetto alla laparoscopia. Penso che la robotica consentirà a più chirurghi di arrivare a fare determinati interventi: una sorta di processo di democratizzazione”.
Professore, lei non vede una contraddizione: da un lato lunghe attese per prestazioni di routine, dall’altro lo sviluppo di tecnologie all’avanguardia.
“Non c’è contraddizione. Questo è un ospedale a trazione oncologica: fatti in open o fatti con il robot, comunque gli interventi occupano le sale operatorie in maniera importante. I pazienti con tumore presi in carico, come ci chiede lo Stato e come ci chiede la Regione Veneto, devono essere operati entro trenta giorni. Le liste d’attesa lunghe quindi non sono sulla patologia oncologica. E le urgenze in ospedale vengono fatte H 24. É vero che, per le patologie che possono aspettare, ci sono le liste d’attesa, ma a me preoccupano più le liste d’attesa nella diagnostica, che nella terapia”.
Cosa si dovrebbe fare per una diagnostica più rapida?
“A dirla tutta, un Hub come Verona non dovrebbe neanche fare alcune chirurgie, che andrebbero fatte negli ospedali Spoke (ndr: i presidi ospedalieri territoriali che assicurano le funzioni di base). Certo non è semplice, ma penso che un tentativo di coinvolgere i centri periferici in rete, per smaltire le liste d’attesa, ci dovrebbe essere”.
Professore, come vede il futuro?
“Verona è stata lungimirante e penso che il futuro sia questo tipo di chirurgia, che avrà uno sviluppo: miglioreranno i robot, miglioreranno i materiali, miglioreremo tutti. Anche se, lo ripeto, non basta la tecnologia per migliorare i risultati. Io ho iniziato la mia attività nei primi anni Ottanta: le sopravvivenze dei miei malati, affetti da cancro allo stomaco, sono rimaste le stesse di allora. La tecnologia darà ottime prestazioni, ma non avrà un impatto importante sul tasso di guarigione”.
Rossella Lazzarini