9 novembre ‘89: a 32 anni dalla caduta, del Muro di Berlino sappiamo pressoché tutto. Costruito nella notte del 12 agosto 1961, aveva lo scopo di bloccare l’emorragia di tedeschi che dalla Germania Est, sotto il regime comunista, passavano all’occidentalissima e libera Germania Ovest. Lungo 155 km, alto 3,5 m, per attraversarlo durante i 28 anni di segregazione sono morte circa 239 persone, mentre i numeri dei fuggiaschi sopravvissuti restano un mistero. Ma al di là dei dati duri e crudi, si scorgono succosi aneddoti e assurde leggende che vale la pena scoprire.
La domanda di un italiano, la caduta del Muro
Riccardo Ehrman, giornalista corrispondente dell’Ansa a Berlino era lì, la sera del 9 novembre, quando Günter Schabowski, ministro alla propaganda della Germania dell’Est, fece un accenno alla possibilità di attraversare le frontiere in completa libertà. Ehrman gli chiese la data precisa del via libera e lui, visibilmente confuso, rispose «Per quel che ne so io, anche da adesso, subito». Quando Schabowski si rese conto della gaffe era già troppo tardi. La sua dichiarazione andò in diretta tv e tutti i berlinesi in ascolto iniziarono ad affollare le strade, diretti verso Checkpoint Charlie, il varco che divideva le due parti della città. Fu l’assalto al muro. Fu la notte della libertà e la fine di un’era.
Lucio Dalla e Phil Collins
Checkpoint Charlie in quegli anni divenne anche un luogo di pellegrinaggio per gli artisti dell’epoca: «[…] non avevo mai visto il Muro e mi feci portare da un taxi al Checkpoint Charlie», racconta Lucio Dalla in un’intervista. «Mi sedetti su una panchina e mi accesi una sigaretta. Poco dopo si fermò un altro taxi. Ne discese Phil Collins che si sedette nella panchina accanto alla mia. In quei giorni a Berlino c’era un concerto dei Genesis, che erano un mio mito. […] mi venne la tentazione di avvicinarmi a Collins per conoscerlo […]. Ma non volli spezzare la magia. Rimanemmo mezz’ora in silenzio, ognuno per gli affari suoi. In quella mezz’ora scrissi il testo di Futura, la storia di questi due amanti, uno di Berlino Est, l’altro di Berlino Ovest che progettano di fare una figlia che si chiamerà Futura».
J. F. Kennedy e i bomboloni
Nel giugno 1962 il presidente Kennedy giunse a Berlino Ovest per visitare la città. Il discorso tenuto a Rudolph-Wilde-Platz divenne leggenda per le sue forti parole di solidarietà e comprensione della condizione tedesca: «Duemila anni fa l’orgoglio più grande era poter dire ‘civis Romanus sum’. Oggi l’orgoglio più grande è dire ‘Ich bin ein Berliner’, sono un benese».
Peccato che in Germania il berliner indichi quello che comunemente chiamiamo krapfen: l’aggiunta dell’articolo ‘ein’ affiancato alla parola incriminata ha dunque fatto sì che agli occhi di 450mila tedeschi il presidente Kennedy si trasformasse da berlinese a bombolone.
Maria Letizia Cilea