“È impossibile costruire un mondo migliore se prima non lo si immagina”, spiega Lesley Lokko, curatrice della diciottesima edizione della Biennale Architettura di Venezia, conclusa a fine novembre. Sei mesi di esperienze concepite come occasione per “proporre idee creative e immaginare un più equo e ottimistico futuro in comune”. Le Biennali di Architettura e di Arte sono, da sempre, per tutto il territorio regionale e per la nostra città, un’importante punto di riferimento capace di narrare visivamente, attraverso una moltitudine di voci, l’universo che ci circonda. L’edizione di quest’anno, la numero diciotto, si è concentrata sul “cambiamento” con riflessioni articolate sulle diverse culture sempre più fluide, sulle risorse, sulle relazioni e sui diritti. Particolare attenzione è riservata all’Africa e alla sua diaspora che ha rappresentato oltre metà delle partecipazioni, con emblematici allestimenti ospitati all’interno del padiglione centrale. L’evento è stato anche un’occasione per far decollare proposte focalizzate sulle professioni che verranno, inserite nella sezione “Guests from the Future” (Ospiti dal Futuro) e per offrire, con “Biennale College”, un ricco programma didattico dedicato alle figure emergenti. Invece, nella splendida cornice dell’Arsenale (da sempre rivolta alla ricerca) sono andate in scena “Dangerous Liaisons” (Relazioni Pericolose) ovvero idee sperimentali (per modalità di lavoro, disciplina e confine geografico) capaci di mettere in luce personalità di rilievo nei vari campi limitrofi all’architettura. In questo spazio, tra i lavori italiani meritevoli di attenzione per qualità e resa scenografica, segnaliamo “It’s Kind of a Circular Story”, il progetto di recupero dell’ex complesso militare del Monte Calvarina, nel comune veronese di Roncà, curato dallo studio AMAA (una giovane realtà fondata da Marcello Galiotto e Alessandra Rampazzo a Venezia che collabora con varie figure creative). Si tratta di un esempio di riconversione virtuoso che vorrebbe trasformare un luogo, inquinante e abbandonato al degrado, in un’esperienza innovativa, sostenibile e formativa. Il nucleo centrale dell’allestimento è un blocco di cemento armato proveniente dalla base militare e raggiungibile grazie a una scala in ferro (probabilmente pensata come simbolo concreto di interazione) che permette di vedere, attraverso un foro, il racconto/video del viaggio compiuto dal frammento di muro. La struttura è sospesa su un grande tavolo realizzato con fogli di ottone destinati allo smaltimento e appoggiati su una serie di cavalletti metallici, simili a quelli utilizzati dai carpentieri.
All’insieme si aggiungono vari elementi: una lampada creata con un tubolare di ottone, delle foto che propongono i resti della base militare e un libro/opera d’arte da leggere seduti su una sedia della Modernab Gallery. L’installazione vuol dimostrare che i materiali di scarto possono diventare oggetti di design, con caratteristiche estetiche e funzionali di pregio. L’obiettivo dichiarato è “restituire la Terra alla natura e alle persone, evitando lo spreco di terreni, edifici e memoria”. “It’s Kind of a Circular Story” esplora, in tal modo, nuove possibilità visive sfruttando ed espandendo le potenzialità di quanto già esiste. Anche grazie al contributo del progetto veronese, dal “laboratorio del Futuro” esce “The Archive of the Future”, un contenitore di testimonianze visuali dei tanti “agenti di cambiamento” che hanno reso possibile la mostra, in un dialogo continuo tra visione e immaginazione del mondo.