Il 3 Novembre 1966 Ernesto Guevara de la Serna, detto il Che, giunse in Bolivia, sotto falsa identità, dopo avere dato lasciato da tempo ogni incarico nel governo cubano. Nella lettera di saluto a Fidel Castro motiva la sua scelta: “Altre sierras nel mondo reclamano il contributo delle mie modeste forze.” Poco oltre chiarisce: “sui nuovi campi di battaglia porterò la fede che mi hai inculcato, lo spirito rivoluzionario del mio popolo, la sensazione di compiere il più sacro dei doveri: lottare contro l’imperialismo ovunque esso sia.”
Il 7 Novembre Che Guevara giunse in una fattoria, dipartimento di Santa Cruz, e costituì il gruppo guerrigliero, il cui obiettivo finale, secondo le ultime e più informate ricerche, sembra non fosse quello di compiere la rivoluzione in Bolivia. Lo scopo immediato era di addestrare un corpo di guerriglieri per poi mettere in atto il vero piano: spostarsi in Argentina, unirsi con altre due colonne di guerriglieri, da formare durante la sua permanenza in Bolivia, e assieme attaccare il regime militare del paese. Conquistato il potere, la rivoluzione doveva poi estendersi a tutti gli stati sudamericani.
Il 7 Ottobre 1967 Guevara scrisse nel suo diario: “Si compiono oggi 11 mesi dall’inaugurazione della guerriglia, senza complicazioni, bucolicamente: fino alle 12,30, quando una vecchia, che portava delle capre al pascolo, entrò nel canalone dove eravamo accampati e bisognò catturarla. La donna non ci ha dato nessuna notizia degna di fede sui soldati.”
Il giorno dopo, l’8 Ottobre, fu attaccato dall’esercito boliviano nella quebrada del Yuro, vicino a Higueras, e nello scontro venne ferito alla gamba sinistra e catturato.
Si concluse così la caccia al Che, guidata dall’agente infiltrato della CIA Félix Rodriguez, che giunse alla sua cattura grazie alle informazioni ottenute dal giornalista Regis Debray e da due “disertori”.
Condotto nella scuola di Higueras, alle ore 13,10 del 9 Ottobre venne ucciso dal sergente Mario Teràn, senza essere colpito alla testa, perché, su ordine di Barrientos, doveva risultare ammazzato durante il combattimento. Il mistero e le molteplici versioni sulla sua morte, su cui si farà luce trent’anni dopo, diedero avvio al mito del Che.
Emblematica l’esposizione al pubblico del suo corpo con il volto senza ferite e gli occhi ancora aperti. Una donna, che lo vide, raccontò: “il suo volto rifletteva qualcosa. Sembrava vivo, sembrava ci dicesse: non sono morto.” Il Che, guerrigliero della rivoluzione permanente, infiammò molti giovani sessantottini.
di Romeo Ferrari, docente di storia e filosofia