Il carnefice colpevolizza la vittima Victim blaming è un fenomeno che solitamente si concretizza a svantaggio della donna

Con Victim Blaming si identificano quelle situazioni in cui la vittima viene colpevolizzata dal carnefice, per giustificare una violenza, ritenendola direttamente responsabile. E’ un fenomeno che solitamente si concretizza a svantaggio della donna e i crimini che più di frequente vedono l’innescarsi di questa espressione sono gli abusi sessuali, le violenze domestiche o a sfondo razziale, il bullismo e i casi di misoginia. È come se i ruoli si invertissero: il comportamento commesso viene trasferito dall’oppressore all’oppresso, che avrebbe agito in maniera tale da meritare quel torto, quello schiaffo, quell’insulto, o persino quella morte… Il Victim Blaming è una tattica manipolativa usata dagli abusatori, ma può divenire anche un fenomeno sociale con la Post-Crime Victimization (vittimizzazione secondaria) ovvero una sorta di seconda aggressione ai danni della vittima, stavolta agita da istituzioni, classe dirigente, media, opinione pubblica… Si tratta di un nuovo trauma provocato alla parte offesa da altre persone, diverse dall’autore dell’abuso originale, ovvero da chi osserva, segue e commenta l’accaduto, per ruolo o per interesse, con modalità non appropriate e non tutelanti. Si tratta di un meccanismo subdolo che può innescare un processo circolare che rischia di autoalimentarsi nel tempo. Nel libro “Blaming the victim” (Incolpare la vittima) scritto nel 1976 dallo psicologo William Ryan, esaminando la mentalità che porta a colpevolizzare gli indigenti per la loro miseria, esprimeva un concetto ancora purtroppo attuale: incolpare le vittime, per la condizione in cui si trovano, è un modo per ignorare il problema dando loro la responsabilità di risolverlo. Gli studi di Ryan dimostrarono anche che è molto più frequente che la vittima venga colpevolizzata se appartiene a categorie sociali medio-basse o a un gruppo etnico discriminato. Spesso inoltre, non è solo la versione dei fatti fornita dalla vittima a essere messa in discussione, ma è la sua persona a essere sommersa da critiche. La frase più rappresentativa è il “se l’è cercata”: vestendosi in maniera provocante, assumendo alcol, uscendo la sera da sola… La colpevolizzazione della vittima servirebbe, a chi la esercita, a percepirsi meno in balia di un mondo malvagio e ad alimentare nello stesso l’illusione di avere un controllo sugli eventi “Se non me la vado a cercare e conduco una vita attenta, non può succedermi nulla”. Si tratterrebbe quindi di un meccanismo difensivo utilizzato da chi non ha altri strumenti psichici più adattivi. Tutto ciò ha una ricaduta sull’esterno in quanto va a irrompere sulla vittima, persona già traumatizzata e in condizione di fragilità, aumentandone la frustrazione. Le conseguenze possono essere molto impattanti e produrre o peggiorare sentimenti di impotenza, riduzione dell’autostima, depressione del tono dell’umore, quote d’ansia, disturbi psicosomatici, sindrome da stress post traumatico e molto altro ancora. Il Victim Blaming, la Post-Crime Victimization rischiano inoltre di alimentare stereotipi e pregiudizi di genere. Biasimare o responsabilizzare le vittime, minimizzare i danni subiti, assolvere l’aggressore o sminuire la gravità dei fatti potrebbe infine normalizzare tali azioni.

Sara Rosa, psicologa e psicoterapeuta