Lo chiamavano “Iceborg”, l’uomo di ghiaccio. Per tutti Bjorn Borg, il campione rivoluzionario che sfiniva gli avversari con infiniti colpi da fondo campo. Un imbattibile, che solo i più grandi di oggi sono riusciti ad eguagliare. Una fiamma che ha bruciato intensamente, ma si è spenta in fretta.
GLI INIZI. A soli 15 anni viene selezionato a rappresentare la Svezia in Coppa Davis, a 17 arriva in finale a Montecarlo e da quel momento prende il via verso una splendente carriera: 64 tornei vinti, 11 slam (16 volte in finale e una percentuale di vittorie pari all’89,8%), con 6 Roland Garros e 5 tornei di Wimbledon consecutivi in bacheca. 418 settimane consecutive nei top 10, e 109 al primo posto. Metodico, ripetitivo nel suo stare in campo. Ma ciò che inizialmente sembra risultare noioso e scabro, si trasforma nel tempo nel suo colpo più geniale: quella precisione millesimale.
UN MITO INNOVATORE
Prima di lui erano gli anni dello scambio veloce: battuta, discesa a rete e volée a chiudere il punto. Dal suo arrivo nulla fu più come prima, si piazzava a fondo campo e potendo da lì non si spostava. L’avversario per evitare di venir punito durante una discesa a rete, rimaneva anche lui sul fondo, finendo distrutto dai palleggi interminabili e da una concentrazione assoluta. Innovatore anche nel rovescio a due mani, con quel top spin esasperato, pungente e arrotato che pochi riuscivano a controbattere.
TRAVOLGENTE DENTRO E FUORI DAL CAMPO. Una carriera culminata nell’epica finale del 1980 contro McEnroe, da alcuni definita la più bella partita della storia di questo sport, con il 24enne Borg vittorioso per l’ultima volta a Wimbledon. Glaciale anche nei suoi silenzi in campo, nessuna smorfia e nessuna protesta con gli arbitri. Elegante nei modi e stiloso nel look: capelli lunghi, fascetta alla testa e barba accennata. Fu il primo a portare il concetto di divismo sui campi da tennis, con una un cura maniacale nella scelta dei vestiti. A parlare di lui anche l’amore, famoso il suo secondo matrimonio con Loredana Bertè, che però non finì come la maggior parte dei suoi incontri.
C’EST FINI. Nell’81 McEnroe si prese la rivincita agli Us Open, e quel giorno Borg uscì dal campo sentendo che era finita. Ha solo 25 anni, ma percepisce che qualcosa dentro si è rotto. Gioca ancora qualche incontro, e nel marzo dell’83 agli Open di Montecarlo, perde la sua ultima partita contro Henri Leconte: palla incrociata, che finisce fuori di 20 centimetri, un errore madornale per l’uomo che non sbagliava mai. “C’est fini!”, urla il telecronista francese. E come scrisse Paolo Colombo sulla Gazzetta, era la fine di una leggenda: “Giurai a me stesso che non avrei mai più pianto. Non per lo sport. Ma questa volta era diverso. Qui era la consapevolezza, matura, lucida e irredimibile di aver assistito a un’ultima volta. Henri Leconte, certo non un fuoriclasse, aveva impietosamente dato la spallata finale a un mito”.
Fabio Ridolfi