Come i monatti narrati dal Manzoni. Come ai tempi della peste dei Promessi Sposi. Li avevamo letti, forse visti in Tv, li avevamo guardati provando (forse) a immaginare che cosa avessero provato. Ma non avremmo mai pensato di provare nel nostro tempo quell’atroce dolore. Quel senso di totale impotenza.
Guardi le immagini che arrivano da Bergamo, quei camion militari che procedono in una tristissima fila indiana. Lenti. Solenni. Raccontano storie di morte. Portano bare. Portano cadaveri che saranno cremati lontano da casa. Soli. Non hanno avuto nessuno vicino, sono morti da soli e la loro solitudine non è finita. Non finirà mai, come il dolore di chi non li ha potuti neppure salutare. Nemmeno nelle ultime disperate ore della malattia. Isolamento totale.
I camion militari procedono, vanno verso Modena, Cremona, Piacenza. Vanno dove c’è posto, Bergamo non ne ha più. Brescia nemmeno. Un posto per essere cremati. Per essere accolti. Per non restare “a cielo aperto’, in una notte che più buia non si può. Un colpo al cuore. L’ennesimo di questa storia infinita, fatta di numeri e domande, bollettini e paure, mancanze e speranze, inquietudini e solitudini.
E i camion vanno. Le campane hanno rintocchi sordi, sanno di rabbia e dolore. E sovrapponi quelle immagini a quelle descritte dal Manzoni, a quella peste che, guarda un po’, colpi soprattutto Lombardia, Veneto, Emilia Romagna.
Allora come oggi, la storia che ti ricorda i suoi corsi e ricorsi, nulla da scoprire, molto da riscoprire. Solidarietà, vicinanza, condivisione, attenzione agli
altri, partecipazione.
Chissà, se quando sarà finita (sì, finirà, prima o dopo finirà) qualcosa di questo ci rimarrà addosso, resterà dentro di noi. Neanche questa speranza ti toglie il dolore infinito dei monatti sui camion militari.