Nel 1966, lo storico Carlo Ginzburg pubblica un libro destinato a entrare nella storia della storiografia, oggetto di interpretazioni e discussioni, e di polemiche anche accese tra gli storici.
Il libro si intitola in modo singolare: I benandanti, una parola che lo stesso Ginzburg ha dichiarato essergli stata ignota fino al momento in cui, scorrendo le carte dei processi inquisitoriali, non si è imbattuto nei registri delle deposizioni di un contadino accusato di stregoneria per avere, a suo dire, abbandonato in spirito il proprio corpo ed essere stato trasportato di notte nella valle di Iosafat, armato di rami di finocchio, per combattere per la fertilità dei campi in nome della fede.
Il processo è senz’altro interessante, e pone dei problemi interpretativi notevoli. Senza entrare nel merito della lettura fornita da Ginzburg, che opera paralleli rispetto ai culti della fertilità e alla funzione degli sciamani nelle comunità rurali anche extrafriulane, la curiosità degli inquisitori è, come lo stesso storico ha dichiarato in un suo articolo successivo, molto prossima alla curiosità dello studioso.
L’inquisitore, figura oggi a buon diritto esecrata anche nel linguaggio corrente, di fronte a queste esperienze e a questi racconti, come emerge dai verbali dei processi, è interessato innanzitutto a comprendere il fenomeno cui si trova di fronte.
Cosa vuol dire benandante? E il suo comportamento è passibile di condanna come atto di stregoneria, o questi contadini andavano effettivamente a combattere i demoni, ponendosi dalla parte del bene?
La memoria dell’inquisitore del Cinquecento era particolarmente sensibile all’argomento: congreghe in spirito, spostamenti aerei, convegni con i demoni erano le caratteristiche tipiche dei sabba diabolici – oggetto di Storia notturna, altro libro di Ginzburg. Il movente, in quei casi, era chiaro e non necessitava di interpretazione o valutazione.
Ma il caso dei benandanti è diverso, in quanto la loro attività sembra avere un risvolto positivo. Nonostante, in definitiva, questi personaggi venissero condannati, è importante notare il grado di scetticismo che caratterizza, in qualche caso, il giudice, e che non riguarda il succo del racconto: che i demoni e la stregoneria esistessero erano dati acquisiti e sui quali, peraltro, si basava buona parte dell’impalcatura dottrinale della chiesa, dal momento che l’esistenza del demonio e la convinzione della veridicità della sua operazione sulla terra è una delle migliori prove dell’esistenza di Dio e di un bene da diffondere pastoralmente. Perché, dunque, i benandanti generano dubbi? Probabilmente perché eccentrici rispetto a una narrativa di per sé lineare, perché sono personaggi semplici, concordi nell’esperienza, al fondo buoni. Sulle ragioni per le quali non pare esistere un criterio univoco di valutazione è forse meglio rimandare alla coscienza individuale.
effeemme