I PRESIDENTI DELLA REPUBBLICA. Stop a Merzagora, è l’ora di Gronchi Figura controversa, oppositore di De Gasperi, cercò di aprire a sinistra, senza fortuna

All’elezione del Presidente della Repubblica del 1955, il segretario nazionale della DC, Amintore Fanfani candidò il Presidente del Senato Cesare Merzagora, che non raccoglieva l’unanimità dei consensi del partito democristiano a causa delle divisioni interne in chiave antifanfaniana e antiscelbiana ed era stato eletto come indipendente, sia pure nelle liste DC.
Al secondo scrutinio, la sinistra DC si espresse per Gronchi, che raggiunse 127 voti. Essendo allora chiaro il fallimento della candidatura Merzagora, anche i voti dell’opposizione di sinistra confluirono su Giovanni Gronchi (terzo scrutinio). Dopo un vano tentativo di convincerlo al ritiro, Fanfani fu costretto a candidare ufficialmente il Presidente della Camera alla massima carica dello Stato. Il 29 aprile 1955, al quarto scrutinio, Gronchi venne eletto Presidente della repubblica con 658 voti su 883, compresi i suffragi della destra monarchica.
L’ELEZIONE. Come presidente della Camera, toccò a lui presiedere la seduta comune e leggere a voce alta le schede con il suo nome che via via gli venivano porte e continuò a leggerle fino alla fine. Si interruppe solo pochi istanti, quando un applauso del Parlamento segnò il raggiungimento del quorum. Gronchi si alzò allora dallo scranno e, con in mano una scheda, ringraziò l’assemblea con un breve inchino. Poi sedette di nuovo e continuò a leggere le schede con una certa tensione della voce. Quando ebbe letto l’ultima scheda pregò al microfono il vicepresidente della Camera, Giovanni Leone, di procedere allo scrutinio e di proclamare il risultato. Fra gli applausi si alzò e guadagnò l’uscita.
FIGURA CONTROVERSA. La figura di Giovanni Gronchi, per quanto controversa, ha dato la sua impronta a un periodo importante della storia e della politica italiana del secondo dopoguerra.
Durante il suo viaggio presidenziale a Washington (1956), Gronchi fu preceduto dalla fama di uomo politico di orientamento progressista, tanto che la sua conferenza stampa fu introdotta da un giornalista con la battuta che il presidente italiano era nato vicino a Pisa «una città famosa per la sua torre che pende un po’ a sinistra».
TENSIONI NELLA DC. Le tensioni fra Gronchi e gli esponenti principali del suo partito gli pregiudicarono la rielezione ad un secondo mandato, cui avrebbe ambito con l’appoggio del presidente dell’Eni Enrico Mattei. Mattei avrebbe messo a disposizione un miliardo di lire per convincere alcuni parlamentari al fine di rieleggerlo. Il segretario politico della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, che non vedeva di buon occhio tali manovre, propose invece al partito la candidatura di Antonio Segni, che fu eletto Presidente della Repubblica.
IL GIUDIZIO. Indro Montanelli, impareggiabile cronista di quegli anni, chiamerà l’Italia che vede Gronchi al Quirinale come “L’Italia dei due Giovanni” sottolineando come l’affetto popolare era tutto diretto a Papa Giovanni XXIII che era stato eletto proprio durante il settennato di Giovanni Gronchi, mentre il Presidente della Repubblica appariva una carica ancora ingessata tra i formalismi di una giovane Repubblica che non aveva dimenticato l’esperienza del sovrano regnante. Contestatore dell’egemonia di De Gasperi e propugnatore di un’alleanza tra sinistra social-comunista ed i cattolici quando arrivò alla massima carica tentò di realizzare le proprie idee, senza peraltro riuscire a conquistare il cuore di una Dc animata da troppe correnti.