Giovanni Leone al Quirinale. Ancora oggi è l’elezione durata più a lungo nella storia repubblicana, ben 23 scrutini.
Leone aveva mancato per poco l’elezione a presidente della Repubblica già nel 1964, quando fu eletto il socialdemocratico Giuseppe Saragat. In quell’occasione Leone era il candidato ufficiale della DC, ma ci fu la forte opposizione dei “franchi tiratori” della corrente di Amintore Fanfani, che proprio a partire da quella votazione cominciò ad aspirare al Quirinale.
FANFANI CANDIDATO. La DC arrivò all’elezione del 1971 decisa a far eleggere Fanfani, leader democristiano di lungo corso. Fanfani era però un personaggio controverso, che provocava fastidi sia all’interno del suo stesso partito che fuori, perciò la dirigenza democristiana andò da Leone a chiedergli se fosse disponibile a subentrare a Fanfani in caso di fallimento della candidatura. I partiti di sinistra proposero invece l’ex segretario socialista Francesco De Martino, un cosiddetto candidato “di bandiera”, cioè presentato per prendere tempo sapendo che non sarebbe stato votato dagli altri partiti.
Eppure nei primi scrutini De Martino superò più volte Fanfani, che non riusciva a ottenere neanche 400 voti. Fu in questa elezione che qualcuno scrisse nel suo biglietto per votare «Nano maledetto non sarai mai eletto», rivolgendosi evidentemente a Fanfani, che non era molto alto e che in qualità di presidente del Senato poteva assistere al conteggio delle schede.
FRANCHI TIRATORI. C’erano insomma molti “franchi tiratori” democristiani che non volevano saperne di votare per Fanfani. Al settimo tentativo, la DC decise di astenersi dalle successive votazioni non presentandosi in aula per non disperdere i propri voti e far maturare il consenso attorno a Fanfani, ancora candidato ufficialmente. Quando però i democristiani ci riprovarono all’undicesimo scrutinio prese di nuovo oltre cento voti in meno rispetto alla soglia necessaria per essere eletti (quorum).
LEONE O MORO ? La candidatura di Fanfani era ormai evidentemente “bruciata”, come si dice nel gergo giornalistico, cioè era fallita. Era necessario cambiare nome per risolvere lo stallo, ma nel frattempo la candidatura di riserva di Leone era insidiata da un nuovo nome emerso durante le votazioni, che avrebbe potuto ricevere il sostegno della sinistra: Aldo Moro, allora ministro degli Esteri nel governo Colombo. Moro era democristiano come Fanfani, ma raccoglieva consensi ben più larghi per la sua tendenza al dialogo e all’apertura. La candidatura al Quirinale del 1971, quindi, avrebbe potuto essere una sorta di preludio del compromesso storico, ma parte della dirigenza democristiana non era d’accordo e riteneva che i tempi non fossero adatti: Moro al Quirinale avrebbe spostato troppo l’equilibrio politico verso sinistra.
LA SCELTA. La sera del 21 dicembre ci fu una riunione con i gruppi parlamentari della DC per decidere chi candidare tra Leone e Moro. Venne scelto Leone con uno scarto di pochi voti.
Al ventiduesimo scrutinio Nenni prese 408 voti e Leone 503, uno in meno rispetto al quorum (che in quel momento era di 504 a causa della morte improvvisa di un senatore democristiano). Venne eletto infine allo scrutinio successivo, la vigilia di Natale, con 518 voti, grazie al sostegno determinante del Movimento Sociale Italiano, il partito di destra radicale fondato da Giorgio Almirante.