Guerriero per la legalità Dal 2006 è il coordinatore nazionale di“Avviso pubblico”, una rete di 570 enti locali e 11 Regioni che si impegnano per promuovere la cultura della cittadinanza responsabile. E’ stato consulente della commissione parlamentare antimafia

Contro la trappola del gioco d’azzardo

E’ una forma di dipendenza per la quale si cambia vita con l’obiettivo di arricchirsi

Per il momento abita a Villafranca. Ma Pierpaolo Romani, classe 1970, laurea in Scienze politiche all’Università di Bologna, ricercatore e giornalista, è più a Roma che nella cittadina del castello scaligero. Perché dal 2006 è il Coordinatore nazionale dell’associazione “Avviso Pubblico”, una rete di 570 enti locali e 11 Regioni, che concretamente si impegnano a promuovere la cultura della legalità e della cittadinanza responsabile. Fra il 1997 e il 2022 Romani è stato consulente della Commissione parlamentare antimafia e della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali.
È editorialista de “Il Corriere del Veneto” e di “Altreconomia” e scrive anche su “Libera Informazione”. Nel 2012 ha pubblicato il libro “Calcio criminale” (Rubbettino Editore) sulla parabola discendente del nostro calcio, con prefazione dell’allora presidente dell’Associazione italiana calciatori, oggi sindaco di Verona, Damiano Tommasi. Il suo ultimo libro, pubblicato quest’anno da Rcs Edizioni, si intitola “Mafia e Politica locale”. Il 27 marzo scorso Avviso Pubblico ha portato a Verona la seconda tappa del progetto nazionale “La trappola dell’azzardo”.
Dottor Romani, cosa si intende per gioco d’azzardo patologico?
“É una forma di dipendenza, per la quale le persone cercano di cambiare la loro vita sfidando la fortuna, con l’obiettivo di arricchirsi. Allora qual è il problema? Che anche dal punto di vista del calcolo delle probabilità, le volte in cui si perde sono superiori alle volte in cui si vince. Quindi è più quello che si spende, che quello che si guadagna. La patologia sta nel fatto che le persone, proprio come con la dipendenza dalle droghe, non riescono più a porsi un freno”.
Per questo definite l’azzardo una trappola.
“Certo, e ancora di più oggi. Perché un tempo si poteva giocare solo nei quattro casinò italiani, che legittimamente esercitano questa attività. Ma dagli anni ‘90 il legislatore, per ridurre lo spazio della criminalità organizzata, ha pensato di legalizzare il gioco d’azzardo, consentendo l’avvio di luoghi ad hoc, dove le persone possono andare a giocare. Purtroppo, come del resto era prevedibile, l’offerta di gioco ha creato l’enorme aumento della domanda di gioco”.
Legalizzare il gioco d’azzardo è servito a eliminare le attività criminali?
“No, la criminalità organizzata, agendo come impresa, ha tenuto i piedi in due staffe: ha mantenuto il comparto illegale, ma ha comprato anche licenze, concessioni e luoghi dove si gioca legalmente”.
Perché la criminalità organizzata è interessata a gestire il gioco d’azzardo?
“Principalmente perché è un grande comparto di riciclaggio del denaro sporco”.
Chi sono le persone che sviluppano dipendenza dal gioco?
“I ragazzi, che giocano soprattutto online, e le persone anziane, in particolare donne. Gli anziani arrivano a perdere l’intera pensione. I giovani arrivano a fare cose sbagliate per recuperare soldi: si prostituiscono, spacciano sostanze stupefacenti, rubano. Quindi il gioco d’azzardo patologico è anche un problema di salute pubblica e di sicurezza”. rl

A Verona “buttati” oltre 278 milioni

Sia per il gioco fisico che telematico. La criminalità organizzata punta sul calcio

Per il momento abita a Villafranca. Ma Pierpaolo Romani, classe 1970, laurea in Scienze politiche all’Università di Bologna, ricercatore e giornalista, è più a Roma che nella cittadina del castello scaligero. Perché dal 2006 è il Coordinatore nazionale dell’associazione “Avviso Pubblico”, una rete di 570 enti locali e 11 Regioni, che concretamente si impegnano a promuovere la cultura della legalità e della cittadinanza responsabile. Fra il 1997 e il 2022 Romani è stato consulente della Commissione parlamentare antimafia e della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali.
È editorialista de “Il Corriere del Veneto” e di “Altreconomia” e scrive anche su “Libera Informazione”. Nel 2012 ha pubblicato il libro “Calcio criminale” (Rubbettino Editore) sulla parabola discendente del nostro calcio, con prefazione dell’allora presidente dell’Associazione italiana calciatori, oggi sindaco di Verona, Damiano Tommasi. Il suo ultimo libro, pubblicato quest’anno da Rcs Edizioni, si intitola “Mafia e Politica locale”. Il 27 marzo scorso Avviso Pubblico ha portato a Verona la seconda tappa del progetto nazionale “La trappola dell’azzardo”.
Dottor Romani, cosa si intende per gioco d’azzardo patologico?
“É una forma di dipendenza, per la quale le persone cercano di cambiare la loro vita sfidando la fortuna, con l’obiettivo di arricchirsi. Allora qual è il problema? Che anche dal punto di vista del calcolo delle probabilità, le volte in cui si perde sono superiori alle volte in cui si vince. Quindi è più quello che si spende, che quello che si guadagna. La patologia sta nel fatto che le persone, proprio come con la dipendenza dalle droghe, non riescono più a porsi un freno”.
Per questo definite l’azzardo una trappola.
“Certo, e ancora di più oggi. Perché un tempo si poteva giocare solo nei quattro casinò italiani, che legittimamente esercitano questa attività. Ma dagli anni ‘90 il legislatore, per ridurre lo spazio della criminalità organizzata, ha pensato di legalizzare il gioco d’azzardo, consentendo l’avvio di luoghi ad hoc, dove le persone possono andare a giocare. Purtroppo, come del resto era prevedibile, l’offerta di gioco ha creato l’enorme aumento della domanda di gioco”.
Legalizzare il gioco d’azzardo è servito a eliminare le attività criminali?
“No, la criminalità organizzata, agendo come impresa, ha tenuto i piedi in due staffe: ha mantenuto il comparto illegale, ma ha comprato anche licenze, concessioni e luoghi dove si gioca legalmente”.
Perché la criminalità organizzata è interessata a gestire il gioco d’azzardo?
“Principalmente perché è un grande comparto di riciclaggio del denaro sporco”.
Chi sono le persone che sviluppano dipendenza dal gioco?
“I ragazzi, che giocano soprattutto online, e le persone anziane, in particolare donne. Gli anziani arrivano a perdere l’intera pensione. I giovani arrivano a fare cose sbagliate per recuperare soldi: si prostituiscono, spacciano sostanze stupefacenti, rubano. Quindi il gioco d’azzardo patologico è anche un problema di salute pubblica e di sicurezza”.

Minacce? Nessuna, lavoro in squadra

Cerchiamo di creare una rete da contrapporre alle organizzazioni criminali

Mi faccia un esempio di scommessa live.
“Se sono certo che un rigore verrà tirato sugli spalti, invece che dieci euro ne gioco centomila! La forza economica della criminalità organizzata permette di condizionare i comportamenti degli sportivi, sia a livello professionistico che dilettantistico”.
C’è sufficiente consapevolezza nei calciatori di questi rischi?
“No. Nelle inchieste che ho studiato per scrivere il mio libro, ho sempre trovato una sottovalutazione del problema. Se chiedevo a un calciatore: perché ti sei venduto? La risposta era: vabbè, non ho mica ammazzato qualcuno! Il pensiero che tradivano la fiducia dei loro tifosi non li sfiorava”.
Il suo lavoro l’ha mai esposta a minacce?
“No, perché lavoro insieme a una squadra. Cerchiamo di creare reti di legalità organizzata, che si contrappongano alla criminalità organizzata e alla corruzione”.
Da giovane ha collaborato con associazioni in prima linea contro le mafie: Libera di don Ciotti e il Gruppo Abele. Cosa l’ha spinta?
“C’è una data, che tutti gli italiani conoscono: 16 marzo 1978, rapimento di Aldo Moro. Io allora facevo la terza elementare. Mi ricordo la bidella sconvolta che viene ad avvisarci, la scuola circondata dalle auto della Polizia, i posti di blocco. Quella giornata non mi è mai passata di mente, e quando sono stato più grande ho cominciato ad approfondire e a studiare, scoprendo l’interesse per questi temi. Poi ho avuto la fortuna di trovare i miei docenti e due sacerdoti illuminati, che mi hanno offerto libri, giornali, documenti. Ho cominciato così, finchè quella che era una passione, è diventata un’attività professionale”.

Rossella Lazzarini