E poi, Piero Gros si scopre gli occhi lucidi. Succede quando sullo schermo passano le immagini di Leo David. Una tragedia. “Morì praticamente tra le mie braccia” ricorda. “Eravamo a Lake Placid, il giorno prima avevo cercato di dissuaderlo, non si sentiva benissimo. Leo mi disse, sto bene, vado. Ero appena arrivato giù, lui scendeva subito dopo di me. Mi dicono, è caduto. Lo vedo arrivare, ci scambiamo due parole, poi crolla, lì davanti a me. Mi metto a urlare. Non si riprenderà più. Le ultime sue parole le ha scambiate con me…”
Brividi. Ne scorrono tanti nella giornata sul Baldo, dove “Palla lunga” approda per gustare “uno spettacolo straordinario” come lo definisce Gros. Uno che di montagne ne ha viste molte. “Mai visto uno spettacolo come questo” ammette. Il presidente, Piergiorgio Schena è giustamente orgoglioso.Funziona tutto alla perfezione. Trasporto, servizi, accoglienza, cucina. “Ho collaboratori bravissimi” strizza l’occhio Schena. Assieme a Gros, Mauro Gibellini (“…il mio Gibo-gol della giovinezza” osserva Schena), Paolo Rosola, “cavallo pazzo” del ciclismo anni ‘80, compagno di Paola Pezzo, e Luciano Zerbini, discobolo 6° a Losa Angeles ‘84, già definito a suo tempo l’erede del leggendario Consolini.
La tavolata è doc, lo spettacolo fantastico, come Serena, i pensieri scorrono veloci. “Lo sport è la più bella lezione di vita che possiamo pensare per i nostri ragazzi”, sospira Gibellini. “Impari a vincere e a perdere senza fare drammi. Impari che per restare a certi livelli servono sacrifici, rinunce” interviene Rosola, che ai suoi tempi, ogni tanto sgarrava. “Ho vinto 12 tappe al Giro d’Italia, ma con un’altra testa ne avrei vinte di più”, ammette.
“Ho realizzato il sogno di ogni bambino” spiega Zerbini. “Andare alle Olimpiadi, confrontarsi con avversari di tutto il mondo, vivere assieme a loro, senza differenze. Questo è lo sport, al di là dei risultati”.
Questo è lo sport, quello vero. Quello che Piero Gros, la solita faccia da “monellaccio” che aveva da campione, si ostina ancora a raccontare.
“Uno sport dove puoi anche non vincere, senza che succedano drammi. Io non ho mai “odiato” Stenmark perchè era più bravo di me. Non ho mai sofferto Thoeni, che era già campione quando io cominciavo. Li ho sempre visti come avversari, mai come nemici. Ho vinto tanto, ho perso tanto, ma ho sempre vissuto tutto questo senza perdere la mia dimensione”.
Forse perchè…”…perchè ero cresciuto in una famiglia semplice, mio padre aveva i campi e io fino a 15 anni lavoravo con lui. So cosa vuol dire far fatica, quella vera. Ho sempre saputo da dove venivo e conosco i valori veri, quelli che ti impediscono di perdere il senso della misura”.
Applausi, abbracci. La chitarra di Graziano Beghini fa il resto. Il finale è affidato a “Emozioni”, “…perchè queste sono davvero emozioni”, dice Gros alzando i calici. Cin cin.