Dopo il grande successo di “Mine vaganti”, di “Pa’” e del “Sogno di una notte di mezza estate”, i tre spettacoli in programma nel 2022, il Grande Teatro, rassegna organizzata dal Comune di Verona in collaborazione col Teatro Stabile di Verona, prosegue con “Così è (se vi pare)” di Luigi Pirandello con la regia di Luca De Fusco e con protagonisti Eros Pagni e Anita Bartolucci. “Così è (se vi pare)” va in scena al Nuovo martedì 24 alle ore 20.45 con repliche fino a sabato 28 alla stessa ora. L’ultima replica, quella di domenica 29, è invece alle 16. Giovedì 26 alle ore 18 gli undici interpreti della commedia incontrano il pubblico nel Piccolo Teatro di Giulietta. L’incontro, a ingresso libero, sarà condotto dalla giornalista Alessandra Galetto e da Carlo Mangolini, direttore artistico Spettacolo del Comune di Verona. Oltre ai due protagonisti, sono in scena Giacinto Palmarini, Domenico Bravo, Roberto Burgio, Valeria Contadino, Giovanna Mangiù, Plinio Milazzo, Lara Sansone, Paolo Serra e Irene Tetto. Lo spettacolo è prodotto dal Teatro Stabile di Catania, dal Teatro Biondo di Palermo, da “Tradizione e Turismo srl Centro di Produzione Teatrale – Teatro Sannazaro” e dalla Compagnia La Pirandelliana. Le scene e i costumi sono di Marta Crisolini Malatesta, le luci di Gigi Saccomandi. Un grande classico del teatro di Pirandello, quello che indusse Giovanni Macchia a elaborare la teoria della “stanza della tortura”, viene rivisitato da Luca De Fusco, che per questa sua sesta regia pirandelliana torna a lavorare con Eros Pagni. Una chiusura del cerchio per De Fusco che dopo aver tanto studiato Pirandello, interpretandolo spesso proprio alla luce di quella teoria che Macchia formulò attorno al “Così è (se vi pare)” diretto da De Lullo, approda a questo testo, uno dei più compiuti sotto ogni punto di vista e quello in cui diventa più che mai chiaro il senso del teatro come processo. La vicenda è ambientata in una piccola città di provincia dove arrivano il signor Ponza con sua moglie e con l’anziana signora Frola che egli presenta come la madre della sua prima moglie defunta, dichiarando che il dolore per la perdita della figlia l’ha sconvolta a tal punto da renderla folle. La follia le fa credere che l’attuale moglie di Ponza sia la propria figlia. La vecchia signora sostiene invece che il pazzo sia il genero che si ostina a dichiarare morta la prima moglie che è invece ancora viva. L’enigma mette in agitazione gli abitanti del paese che cercano inutilmente di districarsi tra verità e follia, fino alla rivelazione finale che lascerà tutti interdetti. Nel rispondere agli altri e nel dialogare tra loro, la signora Frola e il signor Ponza non hanno più bisogno di fingere che il pubblico non esista: è anzi proprio al pubblico che parlano, ognuno difendendo se stesso e ognuno cercando di dimostrare i difetti e la pazzia dell’altro. Proprio in questo processo di raccontarsi, di mettere a nudo se stessi sta la tortura di cui parla Macchia: una sofferenza atroce e nello stesso tempo l’unico modo per rivendicare la propria esistenza. Un bisogno che, oggi più che mai, siamo in grado di comprendere e di fronte al quale ci riveliamo vulnerabili, anche attraverso l’ossessiva esigenza di condivisione che passa dalla socialità virtuale: Pirandello aveva già intuito che non raccontarsi è come non esistere e ne aveva presagito le conseguenze insieme a quelle della morbosa curiosità dello sguardo altrui. Ecco perché De Fusco sceglie di bandire ogni elemento grottesco dalla rappresentazione, prediligendo una chiave interpretativa d’ispirazione kafkiana, improntata all’incomprensibilità e al mistero, collocando i personaggi al centro di uno spazio angusto e oppressivo, che potrebbe essere il cortile di un manicomio o un insieme di palchi teatrali. Il testo è quasi un manifesto delle teorie del grande scrittore agrigentino, trattando dell’inafferrabilità del reale, dello spettacolo come processo e di altre questioni tipicamente “pirandelliane”.