Parte moscio, almeno a Verona e stando ai numeri, il nuovo progetto politico di Matteo Renzi. “Italia Viva,” per ora, non ha fatto breccia tra i quattro parlamentari scaligeri del Pd, i quali – al momento – hanno scelto di rimanere fedeli a Nicola Zingaretti. Il senatore Vincenzo D’Arienzo e i deputati Gianni Dal Moro, Alessia Rotta e Diego Zardini, hanno deciso di restare tra le fila dei Dem. Due di loro, D’Arienzo e Zardini, hanno giurato fedeltà al partito esponendosi anche sui social. D’Arienzo ha scritto che resta nel Pd perché lo considera «il luogo dove far vivere» le sue «idealità». «Sono ancora convinto che l’incontro tra le culture riformiste, cattoliche e socialiste» ha spiegato «sia la soluzione migliore che consente di abbracciare una vasta opportunità di idee. Anche se ci fosse uno spazio politico (il centro?) oggi non attratto dal mio partito» ha concluso il senatore «non penso sia utile crearne uno apposta per rappresentarlo, ma semplicemente lavoro affinché il mio partito cerchi di occuparlo».
Più sintetico ma altrettanto netto Zardini: «Nessun parlamentare del Pd veronese ha intenzione di uscire. Il Pd è e rimane l’unico soggetto in grado di superare gli schemi del ‘900 e di rappresentare una società profondamente modificata». Zardini ha anche condiviso un post dell’ex ministro Maurizio Martina, a sua volta rimasto nel Pd, che celebra la fedeltà al partito. Nessun messaggio sui social, invece, da parte di Dal Moro e Rotta. Ed è la scelta di quest’ultima a stupire di più, almeno i non addetti ai lavori. La giornalista è stata responsabile della macchina comunicativa dell’ex premier, vanta rapporti ottimi rapporti con Maria Elena Boschi (passata con Renzi) e con Luca Lotti (rimasto coi Dem anche se, sibillino, ha dichiarato che tra un po’ capiremo il perché), dunque in molti si sarebbero aspettati immediata fedeltà al vecchio capo. Gira vorticosa però una voce tra i palazzi romani, che riferita a certi onorevoli è pressoché una certezza, ossia che alcuni siano rimasti nel Pd semplicemente per fare da “insider”, ossia fungere da cavalli di Troia per poi entrare in “Italia Viva” in una seconda fase. Staremo a vedere: nel momento in cui scriviamo i renziani al Senato e alla Camera sono complessivamente 41, rispettivamente 15 e 26. Due o tre potrebbero aggiungersi nelle prossime ore. A Palazzo Madama, dove non possono essere costituiti nuovi gruppi nel post elezioni (e la creazione di un nuovo gruppo significa nuovi finanziamenti) il socialista Riccardo Nencini potrebbe cedere il simbolo a Renzi così da aggirare l’ostacolo (le vie delle palanche sono infinite). Da capire anche come si comporteranno i consiglieri comunali di Verona (Federico Benini, Elisa La Paglia, Carla Padovani e Stefano Vallani) e gli amministratori sparsi per la provincia. La situazione è magmatica. Il dilemma “Renzi o non Renzi” è forte. L’ex premier ha annunciato che alle prossime elezioni regionali e amministrative non vi saranno liste di “Italia Viva” (il tempo per radicare il partito sul territorio sarebbe troppo poco e rischierebbe un colossale flop) e dunque per ora anche i renziani più accaniti si domandano se convenga seguire il loro leader. I primi sondaggi potrebbero rompere gli indugi, in un senso o nell’altro. Sabato, alle 10.30 a San Michele Extra (via Nichesola 7), è atteso Ettore Rosato, vicepresidente della Camera e tra i primissimi ad aderire al progetto renziano. In base ai volti presenti ne capiremo di più. Di certo a Verona tra i più interessati ci sono l’ex Pd Federico Vantini, già in campo con la sua lista civica in vista delle prossime amministrative, e Flavio Tosi, anche se per comprensibili ragioni di opportunità politica l’ex sindaco rimane abbottonato e preferisce parlare di Calenda e Cairo.