Nel Minnesota degli anni ’60 Tammy Faye frequenta il North Central Bible College, forgiandosi in una saggia e rigida predicazione cristiana. Colpita dal fervore religioso del collega Jim Bakker, nel giro di qualche mese i due si conoscono, si innamorano e si sposano. Il loro progetto? Muoversi attraverso gli States per ispirare le comunità cristiane con uno spettacolo ambulante nel quale alla classica predicazione di Jim si sarebbero affiancati il canto e le marionette di Tammy a catturare l’attenzione dei più piccoli.
Il progetto ha un successo enorme: negli anni ’70 i due fondano il più famoso canale televisivo religioso degli Stati Uniti, attraverso il quale passano ingenti donazioni destinate alla Chiesa.
Ma quando le ricchezze, la fama e la brama di potere iniziano ad accumularsi, attorno a Jim nascono sospetti di irregolarità finanziarie, aggravati da una cattiva condotta morale e dall’intervento di un ultraconservatore determinato a mandarli in rovina.
Ispirato all’omonimo documentario diretto da Bailey e Barbato, The Eyes of Tammy Faye vede la regia di Michael Showalter e gli occhi di Jessica Chastain – neo-nominata agli Oscar – a dominare la scena. L’attrice americana interpreta qui la drammatica vicenda di una donna fragile e tacciata da un travagliato passato famigliare che l’aveva resa particolarmente sensibile ai temi di discriminazione: figlia di primo letto e senza padre in anni in cui il divorzio era ancora marchio della vergogna, Tammy Faye aveva subìto una condizione di emarginazione sin da bambina, quando nonostante la sua passione religiosa non le era mai stato permesso di entrare in chiesa se non per il suo talento nel pianoforte.
Di quel fervore e di quella predisposizione la donna aveva fatto un mestiere, dimostrando una potenza scenica e un’attenzione all’altro capaci di catturare menti e cuori anche degli spettatori più lontani dal suo stile di vita.
Peccato che il suo dono sia stato intercettato da un mascalzone in piena regola, qui interpretato da un Andrew Garfield che non può che rimanere in ombra rispetto alla prorompenza della prova della protagonista.
Trucco pesante, movenze esagerate e toni squillanti caratterizzano infatti il volto della Chastain, che nel suo essere chiassosa e kitsch riesce a venare il suo personaggio anche di tratti delicati e commoventi: su di lei cade infatti il peso di un matrimonio fallito e di una carriera che da missione di solidarietà si è trasformata in una truffa in piena regola, mentre intorno la calunnia e la maldicenza continuavano a fiorire.
Se la sua lotta tormentata sostiene l’intero racconto, poco altro c’è da segnalare a proposito delle dinamiche narrative circostanti, che avanzano secondo le più classiche regole del biopic: la volontà illustrativa prevale infatti sulla potenzialità di un racconto che avrebbe potuto tradursi in un capolavoro della settima arte, e che invece si assesta, nella sua adeguatezza, nella medietà dei prodotti del genere senza lasciare particolare traccia – se non quella degli occhi dell’attrice – nella mente dello spettatore.
VOTO 6,5