Nel tracciato dell’ormai storico legame tra ArtVerona e GAM si è allestita, nella sede della Galleria d’Arte Moderna, in cortile Mercato vecchio, la mostra “Et in Arcadia ego” aperta fino al prossimo 3 marzo 2024. L’iniziativa, curata da Patrizia Nuzzo e Stefano Raimondi, è inserita in “Habitat”, sezione pensata per allargare lo spazio artistico a una dimensione maggiormente immersiva. Proprio grazie alla “visitazione” si avvia il processo di partecipazione del pubblico, invitato a entrare e vivere l’esperienza in prima persona. L’inedito format di quest’anno è studiato per promuovere un dialogo tra i lavori del raffinato Giulio Paolini (costituiti da collage, fotografie, disegni e calchi in gesso) con alcuni capolavori della collezione GAM. Si tratta di un ritorno a Verona per il noto artista genovese, già protagonista di altre progettualità nella nostra città. La ricerca concettuale di Paolini si propone di sondare, attraverso un singolare gioco di citazioni e un costante processo di spoliazione della propria personalità, i molteplici rapporti tra chi crea e chi guarda. Nello specifico di “Et in Arcadia ego” si allude a qualcosa di nascosto nella memoria collettiva che dovrebbe essere riportato alla luce. Nell’allestimento costruito per la GAM, la scenografia è atemporale, guarda al passato e annuncia il vuoto del futuro. Il progetto alterna vari esempi dell’itinerario storico dell’artista con lavori inediti, immaginati come “viaggio nella storia dell’arte”. Il percorso visuale d’insieme è suggerito dai titoli delle creazioni, dalla salita sulla “Scala della Ragione”, al confronto tra perfezione e imperfezione di “Copia e originale” per giungere all’ambiguità delineata in “Una doppia vita”. La produzione in mostra assume le sembianze di un’articolata “opera unica” nella quale Paolini (“il primo testimone prescelto”) rimette in gioco il suo repertorio con la consapevolezza che ogni proposta “è se stessa e diversa dalle altre per emozioni, interessi, distrazioni” senza tuttavia “accrescere o smentire il dato originale”. Al centro espositivo si colloca la “Riapparizione della Vergine”, simbolica rappresentazione attorno alla quale si svelano enigmi, miti, canoni e linguaggi dell’arte. L’opera (che reinterpreta la precedente “L’apparizione della Vergine”, del 1996) è costituita da un ingrandimento fotografico strappato della pittura “La Sainte Vierge” (di Francis Picabia) posto sul pavimento, da una macchia scomposta di inchiostro blu, da vetri sparsi e da un violoncello in una custodia aperta, vuota e pendente dal soffitto con un cavo d’acciaio. Tutti questi elementi conducono a diverse possibili rivelazioni nelle quali, senza imporre un preciso punto di vista, l’intento è “ascoltare e cogliere un’eco”. In tal modo, le installazioni esposte perdono la loro tradizionale centralità per entrare in uno spazio scenico nel quale “già esistono ancor prima di essere create”. La circolarità che si genera coinvolge attivamente gli sguardi e determina percorsi da vedere ma anche da vivere ed esplorare, in un forte processo partecipativo. La narrazione di “Et in Arcadia ego” punta a svelare gli “inganni” degli strumenti di rappresentazione (la copia, l’imitazione, la prospettiva) per riflettere sulle infinite possibilità d’esistenza di un’opera e sui tanti significati che l’esperienza artistica può assumere per chi crea (“il primo testimone prescelto”) e per chi osserva. L’obiettivo è stimolare svariate interpretazioni in una comune ricerca che apre “l’orizzonte sterminato di cui si nutre l’immaginazione”.