Ginettaccio, sei inimitabile Vent’anni fa la morte di Gino Bartali, uno dei più grandi fuoriclasse del ciclismo Immenso in bici, grandissimo come uomo: fu nominato “Giusto tra le nazioni”

Grande in bici, sulla strada, grandissimo anche fuori. Non è da tutti, ammettiamolo. Non tutti i campioni dello sport riescono in questo. Gino Bartali è stato uno di quelli, senza ombra di dubbio. Le grandi vittorie lo hanno reso un campione, la rivalità con Fausto Coppi lo ha fatto diventare un mito, e a vent’anni esatti dalla sua scomparsa, avvenuta il 5 maggio del 2000, il ricordo di ‘Ginettaccio’, com’era soprannominato, è ancora vivo nel cuore di tutti gli appassionati di sport. Fare solo un resoconto delle sue vittorie, però, sarebbe un grave torto nei confronti di Bartali: prima di essere un grande ciclista, è stato soprattutto un grande uomo.

Prima delle Guerra, fa in tempo a vncere tutto: Giro e Tour, Milano-Sanremo, è già tra i fuoriclasse di ogni tempo, ma deve cedere il Giro del ‘40, l’ultimo prima del conflitto, a un ragazzino di nome Fausto Coppi, partito come suo gregario. La guerra gli impone lo stop. Bartali, però, ha modo di dimostrare in questi anni tutto il suo cuore e il suo coraggio: nel periodo da settembre 1943 a giugno 1944, mentre era costretto a lavorare come riparatore di ruote di biciclette, si adoperò in favore dei rifugiati ebrei come membro di una rete clandestina di salvataggio. Partendo con la sua bici dalla stazione toscana di Terontola-Cortona per arrivare ad Assisi, Bartali trasportava, nascosti nei tubi del telaio della bicicletta, documenti da affidare a una stamperia segreta perché questa potesse darli a ebrei rifugiati, consentendo loro la fuga. “Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca” diceva Bartali, che però la medaglia (postuma) la ottenne davvero, al merito civile, nel 2006. Nel 2013, inoltre, fu dichiarato ‘Giusto tra le nazioni’ dallo Yad Vashem, il memoriale delle vittime dell’Olocausto. La storia di questi anni è stata raccontata dal figlio di Bartali, Andrea, nel libro ‘Gino Bartali, mio papà’.

Chiusasi la terribile esperienza della Seconda Guerra Mondiale, un’Italia ferita fa affidamento sui campioni dello sport per ritrovare l’orgoglio nazionale, ed è in questo contesto che si sviluppa la rivalità immortale fra Bartali e Coppi.
Ma ancora una volta, è Gino Bartali ad assumere un ruolo che va oltre l’aspetto puramente sportivo. Il 14 luglio del ‘48, infatti, mentre Bartali e la squadra italiana percorrevano le strade francesi (senza Coppi, non convocato), l’Italia ripiombava in una situazione di tensione per l’attentato che mise a rischio l’incolumità di Palmiro Togliatti, leader del Pci. Più di uno sostiene che le vittorie di Bartali al Tour nei quattro giorni successivi e la conquista della maglia gialla (che porterà fino a Parigi) non solo allenteranno la tensione nel Paese ma impediranno lo scoppio di una guerra civile.

Chiusa la parte agonistica, per un po’ fa il direttore sportivo, anche di Fausto Coppi, ma la scomparsa del Campionissimo gli fa perdere probabilmente anche la voglia di restare nel ciclismo. Resta tuttavia un riferimento per tutti, fino alla morte. Difficile trovare le parole giuste per salutarlo per sempre, ma qualcuno ci riuscì: i tifosi della ‘sua’ Fiorentina lo ricordarono commossi con uno striscione esposto a San Siro, in occasione della partita contro l’Inter, che ancor oggi fa stringere il cuore e si riferisce alla famosa foto della borraccia, del 1952: “Ciao Ginettaccio, ora fatti rendere la borraccia”.