Giazza: dove si parla ancora cimbro La storia passata e le conseguenze delle recenti restrizioni nella Ljetzan dei cimbri

Le restrizioni “colorate” governative anti-SARS-CoV-2 hanno coinvolto anche Giazza (la Ljetzan dei cimbri), località-fossile a 758 m d’altezza dove la riscoperta delle proprie remote peculiarità non è solo un termine astratto, retorico, futile ma normalità quotidiana collettiva, sia dei residenti “storici” che degli studiosi della superstite originalità stanziale. Limitazioni e serrate riguardano anche l’accesso alla chiesa parrocchiale di San Giacomo Maggiore, edificata tra il 1678 ed il 1680 ed al locale Museo etnografico dei cimbri, istituito tra il 1970 ed il 1972, proprietà della Comunità montana della Lessinia ed affidato in gestione al Curatorium Cimbricum Veronense. Museo dove sono conservati ed esposti manufatti, attrezzi, arnesi del pluri-centenario lavoro di boscaioli, carbonai, artigiani e pastori cimbri. Sono significative le “colonnette” votive (originali o riprodotte in gesso) e la Madonna Lauretana, esempio degli affreschi esterni delle case dipinti tra i secoli XVIII e XIX.
Fu nel 1287, che il vescovo veronese Bartolomeo Della Scala autorizzò gente in cerca d’opportunità di quell’area geografica a trasferirsi ed a risiedere in estensioni incolte della Lessinia di sua proprietà con il compito di popolarle e di renderle fertili, disboscando e dissodando.
Il rapporto con la nuova geografia montana fu positivo per i coloni che si dispersero formando diversi nuclei che, fino alla caduta della Repubblica di Venezia, nel 1797, costituirono un’entità amministrativa organizzata dapprima in Undici (fino al 1616) e poi in Tredici Comuni: Velo Veronese, Roverè di Velo ora Roverè Veronese, Val di Porro/Valdiporro, Azzarino (toponimo d’un aggregato di contrade a nord-est di Velo), Camposilvano, Selva di Progno con Giazza, Sprea con Progno (attuale Badia Calavena), Saline (oggi San Mauro di Saline), Bosco Frizolana (l’odierna Bosco Chiesanuova), Tavernole, Cerro od Alferia, Erbezzo, San Bartolomeo delle Montagne, detto comunemente San Bortolo.
Dopo il periodo della decadenza, si succedettero le fasi “revisioniste” della (banale?) constatazione del patrimonio culturale (storico, linguistico ed etnografico) che rischiava d’andare perduto per sempre e della valorizzazione del “mondo cimbro” connessa all’attualità, alla conservazione e studio del lascito antico ed alla divulgazione moderna pure propositiva (con pubblicazioni di libri ed aperture di siti in Internet, corsi di taucias gareida e riproposte di cucina tipica). Maturità dagli ammirevoli intenti che va incoraggiata perché non demorda e strizzi ancor più l’occhio (magari con idonee campagne pubblicitarie e non appena ridotto ai minimi termini il “mostro” Covid-19) al turismo sapiens non di nicchia ed a valutabili gemellaggi con altre “isole” linguistiche altrove. Timidi suggerimenti destinati ad orecchie da mercante?