Il calcio giocato, la promozione in A con il Verona, la maglia del Toro e i derby con la Juve, e i gol -tanti – sono adesso per Gianni Bui un piacevole e cristallizzato ricordo. La sua vita oggi scorre con la pittura, una passione iniziata quando ancora calcava i campi di calcio. Il calcio di oggi, invece, lo segue da distante. Con un occhio di riguardo per il Verona. E anche per il Torino. Due delle squadre di cui ha indossato la maglia quando era calciatore.
«Verona rappresenta un parentesi importante della mia carriera – racconta Bui – di cui conservo un bellissimo ricordo. Arrivavo dal Catanzaro, voluto espressamente dal ‘Barone’ Liedholm, che era stato chiamato da Saverio Garonzi per guidare una squadra costruita per puntare alla seconda promozione in serie A della storia dell’Hellas. Liedholm era un grande allenatore – prosegue – probabilmente il migliore che io abbia mai avuto. Fu una promozione molto sofferta. Rischiammo di compromettere tutto nel finale. Per fortuna, invece, riuscimmo a raggiungere l’obiettivo. Un ricordo di quel Verona? Il mio compagno di attacco, il piccolo grande Italo Bonatti. Quando segnava mi saltava addosso pieno di felicità. Il suo abbraccio sulle mie spalle non l’ho mai dimenticato. Un vero peccato che se ne sia andato troppo presto». Verona, poi, diede anche i natali al mito delle “Due Torri”. «Si, ricordo molto bene. Con Vincenzo Traspedini, nacque una coppia d’attacco ben assortita. Eravamo entrambi alti e segnammo diversi gol di testa. Con questi ricordi mi fa rivivere momenti bellissimi della mia carriera. A Verona ho passato tre anni stupendi. Ora, a tenere vivo il legame, ci pensano i miei figli, che vivono entrambi in questa meravigliosa città».
Dopo l’Hellas, ecco tre campionati con la maglia del Torino, dove non ci mise molto ad entrare nel cuore dei tifosi granata che come a Verona gli cantavano “E’ lui, è lui, è Gianni Bui”. «Si, cantavano sempre quel coro. Anche a Torino sono stato molto bene. Ricordo i derby con la Juventus. In tre anni, su sei ne abbiamo vinti, se non ricordo male, quattro o cinque. A Torino ero in camera con Giorgio Ferrini, per tanti anni capitano. Anche lui, purtroppo, scomparso in giovane età, una volta smesso di giocare. In quegli anni mettemmo le basi per lo scudetto del 1976».
A Verona ci è tornato da allenatore chiamato da Saverio Garonzi, suo Presidente ai tempi dell’Hellas, che aveva pensato a lui per guidare il suo Chievo. «Fu una stagione esaltante, terminata con la vittoria del campionato e la promozione in serie C1. Mi spiace molto, invece, che il Chievo sia sparito dal calcio professionistico. La squadra di Campedelli è stata purtroppo vittima di un sistema che oggi non mi piace più. Ecco perché non seguo più il calcio come una volta». Le sue giornate, infatti, sono oggi riempite dai quadri. «Una passione iniziata da autodidatta, ancora quando giocavo. Mi ricordo che nel periodo di Verona, mentre i compagni giocavano a carte, mi dilettavo a dipingere. Lo stesso Liedholm, che era un appassionato di arte, amava intrattenersi con me a parlare di pittura. Negli anni ne ho fatti tanti. Sono riuscito anche a fare qualche mostra. Una proprio lo scorso anno nella sede degli Ex calciatori gialloblù, invitato dal Presidente Sergio Guidotti. Probabilmente, se avessi fatto qualche corso di perfezionamento sulle varie tecniche, avrei potuto fare ancora meglio».
Enrico Brigi