Già in fumo 40 mila posti di lavoro Festività sotto chiave e ripresa a maggio. Ci eravamo illusi. Abbiamo sbagliato

Ci eravamo illusi tutti o quasi. Dopo Pasqua, pensavamo, dopo più di un mese di isolamento forzato, potremo uscire di nuovo: forza, coraggio, teniamo du­ro. Mascherine e guanti e via, fuori a godere dei primi raggi di sole caldo. Non certo un ritorno alla normalità, concetto che peraltro dovremo rivedere, ma un passo importante per co­minciare a familiarizzare col mondo che ci aspetta. Era legittimo sperarlo. Il buonsenso, più che il bollettino delle 18, ci suggeriva che sarebbe andata così. E invece no, niente da fare. Tutti a casa fino a inizio maggio, almeno così pare nel momento in cui scriviamo, che di certezze ormai nessuna. Due mesi chiusi nei nostri appartamenti, che non sono i villoni dei vip. «State a casa» ci ripetono fino e oltre la nausea in televisione. E noi, da bravi cittadini, a casa siamo rimasti e rimarremo, fino a quando il comandante in capo non metterà nero su bianco una data che attesti ufficialmente la fine degli arresti domiciliari. Nel frattempo i privilegiati, quelli che possono continuare a lavorare dal salotto percependo un minimo di stipendio, continuano a farlo. Non è la stessa cosa, certo, alla lunga si soffoca, ma è sempre meglio che pensare alla propria attività che sta andando in malora. Oltre ai morti e ai contagiati ci sono i martiri economici del Covid: titolari d’impresa, piccoli artigiani, bottegai, ristoratori, baristi. Come faranno a rimettersi in piedi? In questo caldo venerdì santo, scriviamo nel pomeriggio, ancora non si capisce chi l’indomani di Pasquetta avrà il diritto di cominciare a rimboccarsi le maniche, tantomeno se qual­cuno potrà farlo. Pare di sì, ma appunto, pare. Non ci addentriamo in analisi medico-scientifiche, che già i virologi si contraddicono a vicenda alimentando il caos. Ci limitiamo a riportare il report della Banca d’Italia secondo cui in Veneto, dalla fine di febbraio sono già andati in fumo 40 mila posti di lavoro di­pendente. «La flessione» questo uno stralcio dell’analisi «è ascrivibile al calo delle assunzioni, in particolare di quelle a tempo determinato, ed è particolarmente intensa nel settore del commercio e dei servizi turistici. I soggetti già colpiti sono quelli che, in condizioni normali, sarebbero entrati o rientrati nel mondo del lavoro, mentre più in là si potranno valutare anche gli effetti sui contratti di somministrazione». Insomma: il bilancio si aggraverà. Nel frattempo il governatore Zaia è tornato a parlare dell’agognata “fase due”: «Auspico, com’è stato per la chiusura a macchia di leopardo, che si riapra con lo stesso principio, gradualmente, partendo dai primi che hanno chiuso tutto. Il governo» ha proseguito il presidente del Veneto «afferma che sentiti i pareri scientifici dal 3 maggio si dovrebbe riaprire tutto, ma se non si liberalizza il commercio delle mascherine è inutile riaprire, perché non si potranno mettere in sicurezza i lavoratori. Voglio ricordare che in Veneto abbiamo fatto un mezzo lockdown considerando la politica delle deroghe e del silenzio-assenso». L’im­pres­sione è che si continuerà a navigare a vista.

Alessandro Gonzato