Il nome di Giovanni Gentile è probabilmente meno presente alla mentalità collettiva di quanto sarebbe dovuto alla sua figura, al suo ruolo storico e alla profondità del suo pensiero. Chi oggi conosce Giovanni Gentile, oltre alle conoscenze inevitabilmente risicate che si ottengono a scuola, durante lo studio dell’ascesa del fascismo in Italia nel corso degli anni Venti del secolo scorso? Ciò non è senza ragione: su Gentile è stata applicata una damnatio memoriae – caso raro in Italia, va detto, e che differenzia il nostro Paese, per esempio, dalla Germania postbellica. Certamente anche la complessità del suo pensiero filosofico ha scoraggiato l’accesso alla sua figura nella memoria collettiva. Tuttavia, Gentile merita di essere considerato nell’interezza della sua attività politica e filosofica, tanto più che le due dimensioni giungono a coincidere. Gentile è forse il più importante filosofo italiano del Novecento, a fianco di Benedetto Croce, con il quale ebbe un rapporto inizialmente cordiale e di collaborazione, rapporto che si interruppe quando Gentile siglò il manifesto degli intellettuali fascisti. Attento lettore di Hegel, teorico dell’idealismo, Gentile propose una propria versione di questa corrente filosofica, denominata attualismo: secondo Gentile, la componente pratica, attuale deve essere considerata centrale nell’esplicazione dello Spirito nella storia. Per questo, Gentile giunge a definire la teoria dell’atto puro. La componente politica della sua filosofia è però più interessante, alla luce della sorte occorsa al filosofo. Fautore dello Stato etico di matrice hegeliana, ossia di una struttura statale che controllasse i costumi dei cittadini e attuasse una politica serrata di direzione, Gentile ritenne di vedere la concretizzazione di questo suo ideale nel fascismo, del quale fu l’ideologo, in stretta vicinanza con Mussolini. Ministro dell’istruzione, fondatore dell’Enciclopedia Italiana, direttore della Scuola Normale di Pisa, Gentile venne ucciso a Firenze nel 1944 da un gruppo di giovani partigiani. Se dal punto di vista storico questo evento è sicuramente comprensibile – più difficile da giustificare per noi che non viviamo in clima di guerra civile e dunque non comprendiamo le logiche che a quel tipo di atmosfera sono proprie, fuori, quindi, dallo stato di diritto –, è indubbio che l’Italia ha perso, quel giorno, uno dei suoi più grandi pensatori. E tuttavia, se del pensiero Gentile si può discutere in senso assoluto, non si può prescindere dalla sua adesione convinta e reiterata al fascismo, anche quando il regime aveva già assunto i suoi tratti più estremi.
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