Il genere fantasy è uno dei più fortunati e prolifici nella letteratura mondiale, ed è interessante chiedersi perché. Sicuramente, la letteratura fantasy ha un ruolo centrale nel far avvicinare i più giovani alla lettura, dal momento che contiene elementi affascinanti – magia, creature mitiche o inventate, poteri sovrannaturali. Per lo stesso motivo, naturalmente, il genere è apprezzato a livello intergenerazionale, sebbene si tenda a distinguere tra fantasy “per ragazzi” e “grandi classici” che possono essere letti da tutti, quasi che il fatto che un adulto legga letteratura per ragazzi lo sminuisse in qualche modo. Che ci siano dei fantasy paradigmatici è chiaro, come avviene per tutti le sfaccettature del mondo letterario.
È facile e immediato pensare a Tolkien, autore del Signore degli anelli e di altri libri, usciti anche postumi, che delinea le caratteristiche di quello che un romanzo fantasy dovrebbe essere per essere, in effetti, di qualità, indipendentemente dalla complessità, dal contenuto e dalle avventure narrate. Quello costruito da Tolkien è in effetti un mondo, fantastico senz’altro, ma che ha delle sue regole, si regge su un sistema complesso ma comprensibile e quindi risulta esso stesso indipendente dalla trama del racconto.
Non è un caso che tra le opere postume di Tolkien vi sia il Silmarillion, che dà profondità cronologica e storica al grande contesto delle avventure degli hobbit nei due romanzi più famosi. La stessa caratteristica ha il romanzo fantasy che più ha influenzato le ultime generazioni, ossia la saga di Harry Potter, concepita da J.K. Rowling e assurta a fama mondiale. Come testimoniano i recenti spin-off cinematografici, sebbene meno complesso di quello di Tolkien, in quanto incastonato sul mondo reale, anche il mondo di Rowling permette di concepire un numero potenzialmente infinito di storie e sottostorie. Un modello teorico, forse meno di impatto storico rispetto all’opera di Tolkien e che però, sin dal titolo, contiene il concetto di cui si sta parlano, è la Storia infinita di Michael Ende, che, tramite un sapiente gioco di rottura delle pareti tra opera, personaggi e lettore, mostra come sia in effetti la fantasia, anche se può sembrare ovvio, l’unico limite del fantasy. D’altra parte, questo non è così scontato: un’altra serie fantasy di grande successo come le Cronache di Narnia di C.S. Lewis non presentano queste caratteristiche: quel mondo è un mondo chiuso ed estremamente vincolato alle vicende narrate nel romano. Questo è comprensibile alla luce della matrice operante nell’opera, chiara a chiunque legga, ossia la tendenza escatologica di chiave cristiana che connota il finale dell’ultimo romanzo. Scrivere un fantasy è relativamente facile, basta essere dotati di fantasia; scrivere un buon fantasy è altra cosa, poiché si tratta di impostare un cosmo, ossia un universo ordinato, per permettere ad altri di costruire altre storie.
EffeEmme