Gelmino Tosi, medico di famiglia ad Avesa, tra una trasferta in Tanzania e una in Sudan, trova il tempo di scrivere romanzi.
Ci parli di lei…
Mi chiamo Gelmino Tosi e sono di Avesa. Faccio il medico di medicina generale da quasi trentacinque anni.
Cosa l’ha fatta decidere di diventare medico?
Il medico è un lavoro che pensavo di fare fin da bambino soprattutto perché mio papà era medico e sembrava un po’ il corso naturale delle cose.
A proposito dell’esperienza di medico in aree calde del mondo?
Mi sono laureato nel 1986 con tesi in cardiologia e poi sono entrato in scuola di specialità di cardiologia. Nel frattempo, frequentavo da almeno un paio d’anni il centro missionario diocesano e, con la ragazza che sarebbe diventata poi mia moglie, abbiamo ragionato su un’esperienza di missione.
Un missionario, Don Sergio Marcazzani, ci ha indirizzato al Cuamm, che adesso si chiama “Medici con l’Africa Cuamm. Ci siamo preparati e per due anni e tre mesi siamo stati in Tanzania, prima a Tosamaganga e poi a Ikonda. Immaginate un giovane medico di ventotto anni, appena uscito dall’università, che si ritrova in un reparto di quaranta letti da seguire e inizia frequentare la sala operatoria dopo tre mesi di training sul posto. Ho fatto il chirurgo, poi anche il responsabile del dipartimento di sanità pubblica, per cui uscivo nei villaggi e ho imparato lo swahili molto bene.
E poi anche recentemente…
Sono tornato in Africa a trent’anni abbondanti di distanza, quando i figli erano ormai grandi, ed è stata un’esperienza che mi ha cambiato la vita: il modo di pensare, il modo di approcciarmi alle cose, il fatto di essere più distaccato dalle cose. Siamo stati un anno nell’ospedale di Lui, nel Sudan del Sud, dove ero direttore clinico. Abbiamo vissuto un anno in un paese in guerra, è stata un’esperienza molto dura, – abbiamo anche rischiato la vita quando hanno assaltato l’ospedale un paio di volte – ma molto interessante, specialmente il contatto con la gente è stato veramente bello.
Quali sono i romanzi che ricorda con più affetto?
Sicuramente l’ultimo, Il profumo di Ophelia. L’ho scritto in Sud del Sudan all’ospedale di Lui. Riflettevo sul fatto di trovarmi in zona di guerra e ricordavo quando facevo il liceo e c’erano le Brigate Rosse. Nel Sudan del Sud, in una situazione di emergenza e di guerra sicuramente peggiore, ho paragonato queste due esperienze e la consapevolezza di un ventenne con la consapevolezza di un sessantenne. Ho lavorato su queste cose seguendo un po’ i ricordi e creando una storia.
Emanuele Delmiglio